Milano è una città grande. Per le sue strade camminano persone un po’ di ogni genere e quindi non importa molto chi sei, cosa fai. Se poi abiti in centro o se finisci a passare lì la maggior parte del tuo tempo per scuola o lavoro, davvero la situazione sembra idilliaca. Come città è fortemente gentrificata e abitata principalmente da persone benestanti e molto istruite. Questo vuol dire da un lato che la mentalità è tendenzialmente più aperta, dall’altro che anche chi non approva le tue scelte di vita, qualunque esse siano, ben si guarda dal manifestarlo.

La mia famiglia non è particolarmente ricca, ma comunque sono nata e ho vissuto quasi tutta la mia vita in una casa vicino ai Navigli. Mia madre ha molti colleghi gay e me ne ha sempre parlato liberamente. Una delle tate che ho avuto, amica di mio padre, è lesbica e mentre era con noi in vacanza ci ha anche presentato la sua fidanzata. Per questo l’omosessualità fin da piccola mi è sembrata una cosa normale, una caratteristica possibile della persona, non diversa da, diciamo, avere gli occhi azzurri o i capelli rossi. Anche quando, un po’ più grandicella, ho scoperto dell’esistenza delle persone trans* non mi è sembrata una cosa strana.

Il liceo poi l’ho fatto al Manzoni, una scuola nota per essere molto di sinistra. Sin dal primo anno ho conosciuto altrә ragazzә LGBTQ+ che vivevano la loro sessualità apertamente e la cosa era generalmente accettata.

Quando a sedici anni ho scoperto di essere bisessuale non l’ho vissuta affatto come una cosa problematica: sapevo di essere al sicuro. Mi ricordo che ero soprattutto esaltata per questa nuova parte di me da esplorare. Nel giro di qualche settimana l’ho detto a tutte le mie amicizie e non c’era alcuno stupore tra loro. Anzi, i rapporti si sono rafforzati: adesso parliamo molto di più di sessualità e mi hanno anche ammesso ai discorsi da veri uomini sulle donne e i videogiochi.

Qualche mese dopo, in gita, ho svelato le mie odissee amorose allə miə compagnə di classe: le raccontavo come storie della buonanotte nella camerata in ostello. Tornatə a scuola scherzavamo sulla cosa in maniera distesa. Ovviamente avevo anche compagnə omofobə, ma mi hanno sempre trattata come tuttə lə altrə. D’altro canto non disprezzavano me in particolare, ma l’idea di andare contro la sacra famiglia cristiana. Al massimo erano un po’ a disagio ma mai scortesə o offensivə.

Ho sempre vissuto la mia bisessualità come una cosa completamente normale, tanto normale da non aver neanche mai fatto un vero e proprio coming out coi miei genitori: mi sembrava un po’ come zittire tutti a cena per annunciare che mi piacciono molto le torte. Ma perché gli sarebbe dovuto interessare come notizia in astratto? L’avrebbero scoperto quando avrei avuto un qualcosa di concreto da dir loro a riguardo: una fidanzata, una qualche delusione amorosa. Tanto sapevo che non sarebbe stata una cosa difficile da metabolizzare.

Io vivevo serena in questa situazione e non sapevo quanto fosse straordinaria. Non avevo idea della fortuna che avevo a essere accettata, amata e rispettata al di là del mio orientamento sessuale. Certo, sentivo le notizie di violenza al telegiornale e sono stata alle manifestazioni per i diritti LGBTQ+ quando c’erano, però mi era difficile immaginare quella violenza come qualcosa di vicino e reale. Ho cominciato a sospettare che non fosse così semplice quando ho cominciato a parlare con persone che vivevano in altri ambienti, gente conosciuta su internet o in vacanza. Da allora è passato tanto tempo e ancora non sono sicura di avere capito del tutto la grandezza del mio privilegio, invece sono sicura che mi impegnerò affinché la mia non sia più una situazione straordinaria.