«Dittatura sanitaria», «Contro il passaporto schiavitù», «Norimberga», «Per la libertà»: questi, con alcune variazioni sul tema, gli slogan che hanno accompagnato le manifestazioni contrarie al provvedimento che istituisce l’obbligo di Green Pass, il certificato digitale che attesta l’avvenuta vaccinazione o il tampone negativo, necessario dal 6 agosto per accedere a fiere, a luoghi di divertimento, di cultura e sportivi, a ristoranti e bar (al chiuso), ai concorsi pubblici.
Il controllo del corpo, sia rispetto alla libertà di movimento, sia alle scelte mediche su di esso – vedi alla voce: vaccino – da parte dello Stato, come misura di prevenzione del contagio da Covid-19, è entrato nel dibattito mainstream come raramente prima d’ora.
Non sembra aver fatto però notizia presso lo stesso pubblico l’annuncio quasi simultaneo di Michele Mariano, ginecologo non obiettore molisano, del rinvio di un anno della sua pensione. Il 69enne è l’unico medico in regione a praticare interruzioni di gravidanza e il bando istituito per sostituirlo è andato deserto.
Mentre si urlano paralleli spregevoli tra Green Pass e sterminio nazifascista, rileviamo il solito silenzio pervicace sul violento e quotidiano controllo medico e sociale dei corpi delle donne, delle persone trans*, delle persone Hiv+, con disabilità, intersex, grasse. Di tutti quei corpi, in altre parole, che non sono conformi ma sono storicamente abusati dalla maggioranza conforme, che sulla propria arbitraria conformità ha costruito zone di privilegio all’interno dello stato di diritto.
Certa che nelle piazze della protesta anti Green Pass ci fossero anche persone della nostra comunità – lasciamo alla loro coscienza le considerazioni sulla promiscuità con Forza Nuova – il punto non è dividere il mondo tra pro e contro Green Pass, ma sgangherare la norma e innestare sulla pianta indebolita e manipolata della libertà la nostra varietà originale, consce che noi più di altrə conosciamo il significato di medicalizzazione forzata, cura reciproca, solidarietà.
A proposito di corpi, a Tokyo sono in corso le Olimpiadi, e mai come in questa XXXII edizione la comunità LGBTQ+ è rappresentata. Tra i tanti coming out – l’Italia non manca -, è anche la prima volta in cui vi partecipano atletə trans* dichiaratə.
Unə, Rebecca Quinn, gioca nella nazionale femminile canadese di calcio e ha fatto coming out come no-binary lo scorso autunno; l’altra è Laurel Hubbard e gareggia nel sollevamento pesi femminile per la Nuova Zelanda.
Mentre scrivo, il Canada ha battuto il Brasile ai quarti di finale; Hubbard invece sarà impegnata il 2 agosto.
Non posso sapere il risultato delle loro Olimpiadi, ma poco importa, vi invito a cercarlə e conoscerlə: è anche grazie a loro che oggi la nostra pianta è più robusta.
Perseguitaci