LA NUOVA MINISERIE DI RUSSELL T. DAVIES SULL’EPIDEMIA DI AIDS NELLA LONDRA DEGLI ANNI ‘80

«When I look back upon my life

it’s always with a sense of shame

I’ve always been the one to blame

For everything I long to do

no matter when or where or who

has one thing in common too

It’s a, it’s a, it’s a, it’s a sin».

It’s a Sin, Pet Shop Boys

Forte di un grande quanto meritato successo di critica e pubblico, It’s a Sin si candida a essere «La!» serie queer del 2021. Il suo creatore, sceneggiatore e co-produttore Russell T. Davies è senza dubbio una delle figure più autorevoli e rilevanti in fatto di queer gaze nella serialità televisiva.

Nel 1999 lo showrunner britannico rivoluzionò il modo di raccontare l’omosessualità (soprattutto maschile) in tv con la serie cult Queer as Folk, in cui i personaggi gay erano protagonisti assoluti mentre quelli eterosessuali venivano lasciati sullo sfondo, nel ruolo di comprimari, ribaltando così un vecchio canone narrativo, ancora oggi duro a morire. La quotidianità di un gruppo di amici gay di Manchester fu messa in scena in maniera orgogliosamente schietta, esplicita, mai consolatoria né pietistica, finalmente libera da ipocrisie e tabù. A differenza del successivo e popolare remake Usa, le parole Hiv e Aids non vennero mai pronunciate in Queer as Folk. Un’omissione consapevole e voluta, come ha recentemente ricordato lo stesso Davies su The Guardian, per evitare che le vite dei protagonisti, e quindi per estensione delle persone gay tout court, fossero ancora una volta definite dalla malattia.

Ventidue anni e numerosi altri successi televisivi dopo, con It’s a Sin Davies racconta la diffusione dell’epidemia di Hiv/Aids nella Londra degli anni ‘80, attingendo direttamente a ricordi e aneddoti suoi, di attivist*e amic*, in particolare di Jill Nalder, a cui è ispirato l’omonimo personaggio interpretato da Lydia West. Gli altri protagonisti principali sono Ritchie (Olly Alexander), Roscoe (Omari Douglas), Ash (Nathaniel Curtis) e Colin (Callum Scott Howells), giovani che si sono trasferiti nella capitale britannica per vivere liberamente la loro omosessualità. Si conoscono per caso frequentando università, feste, pub e club della città, e decidono di andare a vivere insieme, affittando un appartamento, ribattezzato The Pink Palace; una gioiosa utopia queer, realmente esistita, che ricorda la casa della saga televisiva Tales of the City. A travolgere le loro vite, sogni e aspettative sarà per l’appunto l’arrivo dell’Hiv/Aids.

Vedere la ricostruzione di quel periodo storico mentre si è nel mezzo di un’altra pandemia colpisce per le inevitabili analogie (poche) e differenze (molte e significative). Nonostante fosse noto fin dal 1982 che anche le persone eterosessuali potessero contrarre il virus, si parlò erroneamente di Grid – Gay Related Immune Deficiency, di influenza/peste/cancro gay, sorta di castigo divino per una sessualità considerata immorale, peccaminosa, sporca (aggettivo che ricorre spesso nella miniserie in contrapposizione a pulito). «Se ci fossero così tanti ragazzi eterosessuali a morire, il mondo si sarebbe fermato, ci sarebbe stato un putiferio, ci sarebbero state rivolte» dice la mamma di Jill (interpretata dalla vera Jill Nalder) nel quarto episodio, alla vigilia della prima manifestazione indetta da attivist* e alleat* per denunciare il colpevole silenzio e il disinteresse delle istituzioni e delle case farmaceutiche. A uccidere, oltre alla malattia, fu infatti lo stigma causato dall’omofobia presente in ogni ambito della società eterosessista, a partire proprio dalle famiglie d’origine che, salvo rarissime eccezioni, non hanno saputo accettare né amare i loro figli gay, cresciuti con quel senso di colpa e di vergogna acuito dalla malattia e cantato dai Pet Shop Boys nella celebre hit del 1987 che dà il titolo alla miniserie.

Nonostante parli del dramma causato da una malattia sessualmente trasmissibile e la morte sia inevitabilmente presente in ognuno dei cinque episodi, It’s a Sin riesce a essere fortemente sex postive, facendo emergere la grandissima voglia di divertimento dei suoi protagonisti, la vita notturna, i colori, la musica e la moda che hanno caratterizzato gli anni ‘80. Merito di uno sguardo autenticamente libero e liberatorio sul sesso gay e dell’ironia che punteggia la narrazione, diventando spesso black humor, elementi tipici della scrittura di Davies. Potente, commosso e doveroso omaggio a tutte quelle giovani vite prematuramente interrotte, It’s a Sin svetta nei primi mesi del 2021 come un capolavoro destinato a entrare nella storia della serialità televisiva.

Come ha sottolineato anche lə criticə Sara Mazzoni nella sua recensione, un aspetto che avrebbe meritato maggiore approfondimento è la caratterizzazione di Jill: molto amata dal pubblico britannico che l’ha consacrata con l’hashtag #BeMoreJill, in tendenza su Twitter durante la messa in onda di ogni episodio, è l’unica donna eterosessuale cisgender del gruppo di protagonisti, all’interno del quale ricopre il molteplice ruolo di amica, confidente, mamma e infermiera. Il suo punto di vista acquisisce dentro la narrazione corale un peso via via sempre più importante fino all’appassionato e toccante monologo/invettiva finale, eppure ogni sua azione è sempre in relazione agli altri personaggi, senza che venga accennata la sua sfera intima né approfondita la sua storia personale. Mentre tutt* attorno a lei sperimentano i piaceri del sesso, non la vediamo mai mostrare un interesse romantico o sessuale. Quando i suoi amici iniziano a manifestare i primi sintomi dell’Aids, è lei a prendersene amorevolmente cura e a cercare con fatica informazioni sulla malattia, diventando a tutti gli effetti un’attivista. Sollecitata dalla conduttrice dell’aftershow trasmesso su YouTube dopo l’ultimo episodio, l’attrice Lydia West ha raccontato di aver girato alcune scene in cui Jill frequenta un ragazzo ma quelle sequenze sono state poi tagliate in fase di montaggio. Questa scelta autoriale la comprime nella funzione di indefessa caregiver, angelo custode e alleata ideale che, per quanto risulti adorabile, ammirevole e nei fatti corrispondente ai racconti della vera Jill Nalder, a cui è ispirata, la rende anche un personaggio fortemente monodimensionale.

Trasmessa in Gran Bretagna su Channel 4, dove ha registrato numeri record e contribuito a far aumentare notevolmente i test per l’Hiv durante la National Hiv Testing Week, It’s a Sin sarà disponibile prossimamente in Italia sul servizio streaming Starz Play, come già accaduto con Years and Years, altra serie di Russell T. Davies.

Immagine in evidenza e immagine 1 nel testo da channel4.com, immagine 2 nel testo da stylist.co.uk