Phia Ménard, artista transgender fondatrice della Compagnie Non Nova, impegnata nella declinazione della giocoleria in chiave teatrale e drammaturgica, ha presentato al Teatro Testoni di Bologna, in occasione di Gender Bender 2016, L’après-midi d’un fohen – version 1. Uno spettacolo per i più piccoli capace di toccare il cuore dei grandi.

Questa non sarà la solita recensione. Non lo sarà perché non può esserlo. E non può esserlo perché assistere a L’après-midi d’un fohen – version 1 non è stato come assistere a un qualsiasi spettacolo per bambini e bambine. L’artista francese Phia Ménard ha messo in scena un qualcosa che, a ore di distanza dalla sua visione, continua a fornirmi spunti di riflessione diversi.

Proviamo a riordinare i pensieri partendo dall’inizio. Sono le 18.30 di domenica 30 ottobre quando vengo fatta scendere nella piccola sala del Teatro Testoni. Intorno a me è pieno di bambini e bambine, accompagnat* dai genitori. Sono piccoli e piccole abbonati del teatro, la ragazze che lo gestiscono conoscono ogni soldo di cacio a memoria e sono molto più brave dei genitori a far mantenere loro la calma e a non trasformare il foyer in un grande e rumoroso parco giochi. La sala è piccola, il palco non c’è. Non fisicamente almeno. Nel mezzo della sala il palco ideale è costruito con diversi ventilatori di discrete dimensioni, disposti a cerchio. Nel centro, due buste di plastica. E Phia Ménard è là, che cammina a testa bassa, le mani dietro la schiena e aspetta. I piccoli spettatori sembrano essere leggermente spiazzati da questa scena inusuale. Fanno domande. Chiacchierano. Le luci della sala si abbassano e restano quelle dei faretti disposti accanto ai ventilatori. In sottofondo vengono diffusi dei rumori, potrebbero essere quelli di una foresta di notte. Si sentono un frusciare di fronde e versi di animali. Forse grilli, forse barbagianni.

Phia Ménard si inginocchia e con fare solenne tira fuori delle forbici dal suo cappotto nero. I bambini hanno sguardi interrogativi, io mi chiedo come faccia a stare in cappotto e basco di lana nel caldo infernale del Testoni. Inizia a operare tagli minuziosi alle due buste. Sembra quasi un chirurgo mentre con le sue forbici taglia una striscia di qua, una di là, un semicerchio qui… La prima busta è scomposta. Con del nastro adesivo, con la stessa attenzione che era stata riservata al taglio della prima busta, inizia a ricomporre i pezzi di una creatura di plastica con la seconda busta.

Phia Ménard è Victor Frankenstein in questo momento: assembra, con rigore quasi scientifico. I bambini ancora non capiscono cosa stia succedendo, ma osservano. A volte continuano a fare domande ai genitori. La seconda busta, con gli innesti della prima, inizia a prendere forma. Una forma vagamente antropomorfa. Phia Ménard prende tra le braccia la nuova creatura come se fosse un neonato. La culla. Sembra volerla proteggere. E poi l’accartoccia e la lascia indifesa al centro del palcoscenico. I bambini sono ancora confusi mentre la Ménard inizia con passo lento, quasi marziale, a percorrere tutto il cerchio del palcoscenico accendendo uno per uno i grossi ventilatori. “Ma che fa, mamma?” Ci vogliono diversi secondi, forse alcuni minuti – perché nel frattempo il tempo non è più misurabile secondo canoni tradizionali – prima che il piccolo con il gesso al braccio abbia una risposta. La busta accartocciata iniziata a vibrare. Trema ed è scossa da spasmi. Il mostro del dottor Frankenstein inizia a prendere vita. Non con l’elettricità, ma con l’aria. Senza che nemmeno ce ne si accorga i rumori del bosco sono diventati il piano di Debussy e senza che nemmeno si abbia il tempo di capire come o perché – anche se noi grandi sappiamo che, parafrasando una nota pubblicità, è questione di fisica – il suono della meraviglia dei piccoli invade la sala.

La creatura si è alzata in piedi e ha cominciato a ballare. Se sia una ninfa o un fauno è difficile dirlo, ma balla. Scoordinata, seguendo le correnti e non la musica, ma è davanti a noi. Viva. Una seconda busta la segue. Più grande. Eccolo, è lui il fauno. Una terza, una quarta.Prosegue una danza a tratti sgraziata, a tratti di un’eleganza indescrivibile. Le buste-ninfe si inseguono, volteggiano. A volte trovano una corrente ascensionale e vanno su, accompagnate dagli “oh” di meraviglia dei bambini. Perché credo che uno dei punti chiave de L’après-midi d’un foehn – version 1 sia proprio questo: la meraviglia. La meraviglia è un qualcosa che crescendo sembriamo perdere. Non siamo più capaci di meravigliarci per le piccole cose, per la bellezza che ci circonda e non riusciamo più a cogliere la meraviglia laddove, da adulti, ci convinciamo che non possa esserci: come in tre buste di plastica che danzano. E il nostro cervello ci dice che è tutta fisica. Correnti. Il nostro bambino interiore, invece, prepotentemente ci fa unire a quel coro di “oh” della piccola platea. Deve essere proprio questo il senso, mi sono detta, imparare di nuovo a meravigliarci delle piccole cose. E ne ho avuto la certezza quando Phia Ménard ha iniziato a tirare fuori dalla giacca altre buste-ninfe. La plastica antropomorfa si è moltiplicata, le buste-ninfe erano decine. In un turbinio di colori, correnti ascensionali e “oh” di meraviglia. Ma Phia Ménard ha voluto darci almeno un’altra chiave di lettura: l’uomo, inteso come genere umano, ha il talento di distruggere tutto ciò che di bello ha creato. In uno scatto di ira la Ménard inizia a pugnalare le buste-ninfe con le sue forbici. Lo stesso strumento che ha creato queste creature adesso le sta distruggendo e per stessa mano della loro creatrice. Si accanisce contro di loro la Ménard. Le sminuzza. Le pugnala. Le abbatte.

Perché è vero, noi umani a volte abbiamo l’irrazionale desiderio di distruggere tutto il bello che abbiamo intorno. Che ce ne facciamo della meraviglia se la distruzione è una costante delle nostre vite? Sminuzza. Pugnala. Fa a brandelli. Distrugge. Ma non tutto è perduto. La buste-ninfe non esistono più, ma la danza non è finita. Al loro posto centinaia di piccoli petali di plastica continuano a danzare tra le correnti d’aria. L’essere umano ha distrutto le buste-ninfe con le loro forme antropomorfe, è vero, ma non è riuscito a distruggere la bellezza e la meraviglia. Centinaia di piccoli petali continuano a ballare tra le correnti d’aria. L’essere umano le guarda, a volte nemmeno la nostra forza distruttrice può fermare la bellezza e la meraviglia. Si arrende. Continua a vedere i brandelli di plastica danzare. La piccola platea è ancora a bocca aperta. Poi i ventilatori si spengono e la plastica torna a essere plastica inerte sul pavimento del palcoscenico. Ma è troppo tardi, la magia è già successa e la meraviglia accompagnerà la platea anche dopo che le luci si saranno spente, gli applausi avranno scrosciato e ognuno sarà tornato alle propria vita.

 

Per saperne di più

Trailer de L’après-midi d’un Foehn

Il programma di danza di Gender Bender

Il programma completo di Gender Bender 2016

Il sito ufficiale di Gender Bender