QUALI SPAZI SICURI

di Giuseppe Seminario

In queste ultime settimane, le cronache ci riportano degli insulti lesbofobi lasciati sugli armadietti di Sabrina, dipendente del nosocomio lecchese, e del licenziamento velato di transfobia ai danni di Giovanna Cristina, insegnante in un liceo privato romano e poeta. Due casi emersi perché le due donne coinvolte ci hanno messo la faccia, esponendosi in prima persona. Ma quanti altri sono gli episodi del genere che rimangono sommersi tra le paure di rivelarsi, di perdere la posizione lavorativa guadagnata con fatica? Perché è legittimo avere paura, oggi, nel 2019, in un mondo che sta alzando muri, sempre più aggressivo, che non ha più timore di mostrare la sua faccia peggiore. 

In un tempo in cui la visibilità si pagava a caro prezzo – e per alcune persone quel tempo non è ancora finito – l’ideale comfort zone è stata l’armadio. Poi abbiamo iniziato a prendere parola, a rivelarci, a dichiare le nostre identità, conquistando territori di socialità e realizzazione personale a suon di rivolte, manifestazioni, bottiglie lanciate, subendo pestaggi e insulti quotidiani, vedendo omicidi archiviati come suicidi. Lo abbiamo fatto – lo facciamo – con i nostri corpi e le nostre specificità in prima linea. Perché ancora bersagli di una società legittimata a opprimere e agire violenza su chi non si conforma. Questo avviene negli spazi della nostra quotidianità, come le scuole e gli ospedali della penisola, che non sono solo le istituzioni costituzionalmente dedicate all’educazione e alla cura delle persone, ma ambienti in cui la tutela di chi lavora dovrebbe essere uno dei principi fondanti.

Non abbiamo il diritto di dire alle persone come vivere la propria esistenza, casomai abbiamo il dovere di lottare affinché possano essere chi sentono di essere. Per fare questo non ci servono super poteri o super persone, ci servono tutele e leggi. 

E ci serve riscoprire l’umanità e la solidarietà, coltivando l’empatia e l’intelligenza emotiva nei confronti di chi ci circonda. Non solo per la comunità LGBT+ ma per qualunque persona oppressa.

Pubblicato sul numero 49 della Falla, novembre 2019