LA SFIDA (OSTICA) DEL POLIAMORE

All’inizio della fase due, subito dopo la fine del primo lockdown, tutta Italia si è ritrovata a fare i conti con le proprie capacità di analisi del testo una volta sentita la parola “congiunti”. La maggior parte della popolazione si è tranquillizzata quando è stato chiarito che tra questi rientravano anche i singoli partner stabili, a prescindere dal legame matrimoniale.

La comunità Non Monogama Etica, invece, aveva già acceso discussioni nei gruppi di sostegno reciproco chiedendosi cosa si intendesse per partner stabile e immaginando scenari al limite del possibile, come essere fermat* per due giorni consecutivi dagli stessi agenti delle forze dell’ordine nel proprio quartiere e dover dichiarare il falso, perché la possibilità che si andassero a visitare più congiunt*, più affetti stabili, non era stata presa in considerazione. 

L’obiettivo non era tanto polemizzare al millimetro sulla terminologia utilizzata dal governo, piuttosto porre riflessioni sul fatto che fosse comune da parte delle istituzioni avere pochi riguardi nei confronti delle comunità minori e soprattutto, non mettere in discussione il concetto di famiglia, basato più sulla struttura che sulla fluidità degli affetti. Farsi domande a riguardo è scomodo e implica l’analisi del diritto di famiglia, da secoli fondato sulla coppia monogama e composto da numerose leggi intersecate tra loro che in un’ottica meno mononormativa sarebbero da ripensare da capo a piedi, e sappiamo come non valga la pena una perdita di tempo così grande per una comunità piccola e poco definita. 

Mi chiedo quanto in effetti desideriamo definirci per far sì che questa ricostruzione del concetto di famiglia prima o poi possa avvenire in toto, e quanto il darci una struttura non sia solo uno scendere a patti con l’etero-mono-normatività vigente, accettare i suoi paradigmi e farli nostri in cambio di qualche diritto, come più volte è successo nei confronti delle persone LGBT+. Vogliamo scardinare l’istituzione matrimoniale e le sue derivazioni patriarcali, ma lottare comunque per avere diritti fondamentali – come la possibilità di restare a fianco de* nostr*  amori quando non sono in salute, partoriscono o muoiono – e riconoscimento sociale, oppure creare altri schemi simili e adattabili a quelli monogami, rischiando di dividere nettamente la comunità poliamorosa tra chi desidera schemi relazionali più definiti e chi invece adotta un approccio più fluido? 

Pur non essendo una soggettività poliamorosa gerarchica, credo nell’autodeterminazione della persona e sono convinta che entrambi gli approcci alle non monogamie siano validi. Quello che trovo lo sia meno è delegare allo stato la definizione di un concetto così astratto e complesso come l’amore e le nostre relazioni, per l’appunto nostre e di nessun altr*.

Sia il ddl Cirinnà, sia il ddl Zan sono stati sottoposti a modifiche massive ogni volta che le proposte si spostassero troppo in là dalle concezioni eteronormative. La stepchild adoption è troppo, ma scherzare su «froci e trav» è libertà di espressione. L’obbligo di fedeltà? Non viene certo eliminato perché si è posta una riflessione su quanto sia mononormativo ed escludente per tutte le persone poliamorose, ma per la concezione comune che vede i soggetti LGBT+ meno fedeli di quelli eterosessuali. 

«Come farai quando avrai dei figli?» è una domanda, a volte posta con educazione altre meno, a cui non scampo, essendo una persona AFAB (Assigned Female At Birth). Mi è stato chiesto se mie* ipotetic* figl* sarebbero content* di avere una madre che si porta a casa persone diverse ogni giorno, riducendo tutte le esperienze poliamorose a un viavai di sesso – che  anche fosse così non vedrei il problema, dal momento che in qualsiasi relazione l’atto sessuale rimane una questione privata che esclude bambin*.

Il poliamore e le altre non monogamie etiche rappresentano una sfida ostica, che potrebbe portare sempre più nella direzione di un riconoscimento dei legami affettivi al di sopra quelli di sangue. Un passo presente nelle nuove generazioni, già abituate alle famiglie allargate e molto più sensibili alle tematiche queer e di genere. Un* bambin* educato in una famiglia non monogama etica con genitori inclusivi, a prescindere dalla struttura della relazione, è un* bambin* a cui non verrà insegnata l’esistenza di un unico e corretto modo di amare. È una persona umana, non un surrogato dell’adulto, che potrà essere cresciuta ed educata da più adulti consapevoli, situazione che già si verifica in alcune relazioni monogame standard in cui sono presenti rapporti stretti e convivenza anche con amic* e parenti dei genitori biologici. 

La famiglia fluida, autogestita e poliamorosa pone al centro delle proprie riflessioni l’educazione alla cultura del consenso e la sua diffusione in ogni spazio, e alla comunicazione assertiva. Le non monogamie etiche sono intrinsecamente femministe e intersezionali, sempre più spesso coinvolgono soggettività queer e contrastano la cultura del possesso e le sue derive patriarcali non solo nelle relazioni affettive di tipo romantico e/o sessuale, ma in qualsiasi tipo di interazione umana, compreso il possesso de* figl* e la critica ad azioni punitive anche violente nei loro confronti, volte a ristabilire l’ordine e la gerarchia del potere. Valorizzano le relazioni platoniche e queerplatoniche non basate sull’amatonormatività, includendo nel concetto di famiglia le tanto dimenticate persone aromantiche e asessuali. 

La carrellata di positività e prospettive non esclude, come in tutte le relazioni, momenti di criticità e difficoltà, forse aumentati dal fatto che attualmente la società non concepisca le non monogamie come realtà affermata e che la consapevolezza politica della nostra comunità sia un tema relativamente nuovo, esente da modelli strutturati di riferimento. Parlando superficialmente, basti pensare alle pullulanti agevolazioni per coppie e come  sarebbe disorientante trovarsi davanti una triade, una  conformazione a “V”, o tanto altro. 

Ciò su cui la comunità attualmente può agire è la costruzione di un terreno solido di discussione politica e sperimentazione, solidarietà e reti con altri movimenti minori, nell’ottica di creare una società sempre più intersezionale e inclusiva per chiunque.