LE PROTESTE PER IL DIRITTO ALL’ABORTO IN POLONIA

di Martina Zini

Durante gli scorsi mesi abbiamo seguito con interesse le proteste delle donne polacche contro la legge sull’aborto ed esultato alla loro vittoria contro la nuova scellerata sentenza del 22 ottobre. Devo darvi delle brutte notizie: la loro guerra (da uno degli slogan della protesta, «to jest wojna», «questa è guerra») non è ancora finita; anzi, il nemico sta contrattaccando e tentando, sempre più aggressivamente, di smorzare il dissenso.

Almeno su un punto, purtroppo, il governo ha vinto: l’attenzione dei media internazionali è scemata con l’annuncio del rinvio della pubblicazione della sentenza, e quindi della sua entrata in atto.

Torniamo un attimo a noi: cosa è successo e di cosa stiamo parlando? La Polonia ha una legge sull’aborto tra le più restrittive in Europa. La pratica è permessa solo in caso di stupro, pericolo di vita per la madre o grave malformazione del feto. Quest’ultima circostanza determina oltre il 95% delle interruzioni di gravidanza praticate nel paese. A tutto questo si aggiunge un’educazione sessuale praticamente inesistente, la disponibilità di solo due tipi di pillole anticoncezionali, la scarsità di supporto psicologico e finanziario pre e post-parto e una società in cui la religione cattolica è parte fondamentale dell’identità nazionale.

Il 22 ottobre anche l’aborto per malformazione del feto è stato dichiarato incostituzionale tramite una sentenza della Corte Costituzionale, la stessa Corte che è criticata da anni dall’Unione Europea per la nomina illegittima di componenti affiliati al governo.

Non sono nuovi i tentativi del partito di destra populista Diritto e Giustizia (PiS), alla guida del paese, di rendere più stringente la legge sull’aborto. Questa volta la formazione di governo contava sul fatto che la situazione di pandemia impedisse o mitigasse le reazioni di protesta.

Così non è avvenuto, e il 30 ottobre a decine di migliaia le persone si sono riversate nella capitale Varsavia, in quella che è stata la più grande sollevazione nel paese dai tempi della caduta del regime comunista. Da allora le manifestazioni non si sono più fermate. È stata straordinaria la diffusione delle proteste, dalle grandi città fino ai piccoli centri rurali. E altrettanto interessante è stata la grande eterogeneità di genere delle persone manifestanti. 

Insieme al completo ritiro della sentenza sull’aborto, le manifestanti hanno avanzato un decalogo di richieste fondamentali sui diritti delle donne, della comunità LGBT+, delle persone con disabilità e delle minoranze.

L’annuncio sul ripensamento riguardo alla sentenza  sull’aborto ha fatto esultare  i media internazionali,ma nel frattempo i tentativi di repressione delle proteste si sono fatti più forti e aggressivi. Il ministro dell’educazione ha minacciato le sostenitrici: istituzioni,  professoresse e insegnanti. La polizia si è fatta più violenta, ha iniziato a usare manganelli, spray al peperoncino e gas lacrimogeno, a multare e arrestare le manifestanti e (per ora) una fotogiornalista.

Immagine in evidenza da greenme.it, nel testo da timgate.it