Nella serata di venerdì Michele Gaglione, giovane residente di Caivano (NA), ha inseguito e tamponato volontariamente con il suo motorino lo scooter su cui viaggiavano la sorella, Maria Paola, e il suo ragazzo Ciro Migliore. L’impatto fra i due mezzi, avvenuto sulla Strada degli Etruschi, ha causato la caduta dei due fidanzati. Maria Paola ha colpito un tubo di irrigazione ed è morta negli istanti successivi. Ciro, ferito solo lievemente, è stato raggiunto da Michele, che ha infierito su di lui mentre si trovava a terra.

Arrestato dai Carabinieri della caserma di Acerra, Michele ha dichiarato, secondo quanto riportato da Il Mattino: «Ho fatto una stronzata. Non volevo uccidere nessuno, ma dare una lezione a mia sorella e soprattutto a quella là che ha infettato mia sorella, che è sempre stata normale».

Quella là, nel lessico miope dell’aggressore, sarebbe Ciro, il giovane uomo trans di Acerra vittima del pestaggio. È per questo, per il fatto di avere una relazione con lui, che Maria Paola è stata uccisa. 

Un femminicidio con movente transfobico, dunque. Perché Maria Paola è ovviamente vittima di transfobia, alla faccia di chi crede che questa riguardi solo le persone trans, e magari soltanto quelle strane, diverse, che non “passano” o che se la vanno a cercare. Invece il ribrezzo per le nostre esistenze fuori norma finisce per fare male anche a chi amiamo, a quei normali la cui volizione, solitamente nutrita e coccolata dall’etica del consumo, diventa improvvisamente illecita, e dunque passibile di punizione, quando sceglie noi come oggetto del desiderio.

I primi resoconti dell’accaduto fraintendevano l’identità di Ciro, un errore tutto sommato veniale se si considera che lo stato italiano persevera nel non riconoscere alle persone trans documenti conformi al loro genere, se non dopo averle messe ripetutamente alla prova. Ma i successivi aggiornamenti della notizia hanno sovrapposto alla tragedia strati di grottesco. Sono stati prodotti articoli scritti con una grammatica nuova, in cui il nome maschile Ciro può essere concordato al femminile. A quanto pare piegare l’italiano alle proprie esigenze, atto immediatamente censurato quando a farlo è una minoranza, diventa ammissibile se serve a coprire l’inadeguatezza dei più. 

La mancanza di strumenti culturali per comprendere l’unione di Ciro e Maria Paola, denunciata dal parroco del quartiere Parco Verde da cui provenivano entrambi, si rivela essere così un difetto di tutti, e non solo dell’investitore. A cominciare proprio dal sacerdote, che, sebbene conoscesse Ciro, non ha alcuna remora nel parlare di un rapporto fra due ragazze.

E pazienza per i desideri di una donna morta giovanissima, che scriveva, secondo quanto postato sul profilo Instagram di Ciro, di voler rendere il suo ragazzo «un uomo felice». 

La tragedia di Maria Paola e il modo in cui è stata raccontata chiama tutte noi persone trans ad assumere una posizione intransigente verso i discorsi che si fanno pubblicamente su di noi, spesso senza il nostro consenso. Tollerare le battute, l’ambiguità, l’invadenza, l’appropriazione indebita e l’esibizione delle parti considerate più esotiche delle nostre esistenze, significa autorizzare la percezione che le nostre vite, e per estensione quelle di chi ci ama, valgano qualcosa in meno rispetto alle altre. E significa anche sottomettersi alla pretesa patriarcale di regolamentare la vita e i desideri di tutte le soggettività. 

Con la consapevolezza che questa lotta va fatta per tutte e tutti, anche per coloro che, sotto sotto, Michele Gaglione lo capiscono nella sostanza, anche se non ne imiterebbero mai il gesto scellerato. Nella notte di sabato sul lungomare di Mergellina, uno dei più belli al mondo, a solo una manciata di chilometri dal luogo in cui Maria Paola ha perso la vita, un uomo ha ferito a colpi di pistola tre ragazzi per la lite più idiota del mondo, quella che nasce per un complimento rivolto alla ragazza sbagliata. Il patriarcato nuoce gravemente alla salute di tutt*, indistintamente.