RESISTERE È ANCHE SAPER ATTRAVERSARE IL DOLORE 

di Elisa Manici

Il vomito tossico delle dichiarazioni contro il 25 aprile, giorno in cui in Italia celebriamo la Liberazione dal nazifascismo e la nascita democrazia, quest’anno è ancora più corrosivo del solito, e fa ancora più male del solito, visto che la stessa parte politica che da sempre odia la Liberazione ha colto la contingenza della pandemia per rincarare la dose. 

«Da giorno della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, a giorno in memoria dei caduti di tutte le guerre, compreso il ricordo di tutte le vittime del Coronavirus», l’imbarazzante proposta del vicepresidente del senato Ignazio Larussa. 

«Il paese sta con le pezze al culo e ancora parliamo del 25 aprile, mi sembra veramente l’ultimo dei problemi, mi sembra addirittura una provocazione», ha tuonato la nipotina del duce Alessandra Mussolini, parlamentare della nostra repubblica per Forza Italia.

«Non basta cantare Bella ciao dal balcone per dirsi italiani, e nel mentre ti escono di galera tre camorristi. Magari cantare di meno e lavorare di più sarebbe utile», è invece la dichiarazione del leader leghista Matteo Salvini, che sulla comunicazione aggressiva e destinata alla pancia del Paese ha costruito la sua fortuna politica. Non contento, ha anche strizzato l’occhio alla parte della sua audience più complottista: «Il 25 aprile si parla di libertà, quella che ci hanno lasciato i nostri nonni. Non vorrei che venga messa in discussione da qualcuno in nome del virus. Mi auguro che il 25 aprile coincida con una giornata di libertà vera».

Il premio per l’idiozia fascistoide più ripugnante va però a un ignoto consigliere comunale forlivese, tale Francesco Lasaponara, che ha avuto il suo quarto d’ora di notorietà grazie a un post, successivamente rimosso ma che avevano fatto in tempo a leggere in molt*, in cui consiglia di lasciare che «anziani partigiani» si incontrino per celebrare pubblicamente il 25 aprile, e infila anche una battuta omofoba scrivendo «partigiANO» come un tredicenne in crisi ormonale, auspicando poi che si ammalino di Coronavirus e muoiano. Conclude dando dei «cani» ai partigiani e dei «leoni» alla sua parte politica, cioè i fascisti, sottolineando che «i cani restano cani nonostante siano vittoriosi, e i leoni sono leoni».

Le polemiche sulla festa della Liberazione non sono una novità. «Il 25 aprile è sempre stata una festa divisiva – afferma lo storico Mirco Dondi, docente presso l’Università di Bologna – in un paese che non ha mai completamente estirpato le sue radici fasciste. È con la fine del primo sistema dei partiti – prosegue Dondi – tra il 1993 e il 1994, che mettere in discussione il 25 aprile diventa un esercizio pubblicamente accettabile. Sono cadute le vecchie eredità e sono stati sdoganati i fascisti che in larga parte – conclude – hanno compiuto un processo di revisione solo di facciata continuando a mostrarsi per quelli che sono sempre stati».

Il punto di non ritorno su cosa gli stessi politici di destra ritengono accettabile di poter dichiarare sulla Liberazione avviene nel 2009. L’allora premier Silvio Berlusconi aveva scelto di celebrare il 25 aprile nella cittadina abruzzese Onna, colpita, oltre che dal terremoto nello stesso 2009, da una strage di civili compiuta dalla Wermacht in ritirata nel 1945. Ed è in quel luogo che Berlusconi sostenne che i tempi erano ormai maturi per trasformare la festa della Liberazione in festa della libertà, festa di tutti, mostrando rispetto anche per i combattenti repubblichini. Certo, aggiunse che «la Resistenza è un valore fondante della Costituzione», ma ormai il danno era fatto. 

In questo 2020 per ora soltanto funesto, ci troviamo a dover resistere più di sempre. Non solo all’imbarbarimento della politica, ai fascismi e al populismo in rimonta in un occidente che ha perso la bussola e in cui il realismo capitalista di fisheriana memoria aveva già precipitato la situazione socioeconomica in una distopia realizzata su scala mondiale ben prima del virus.

Oggi dobbiamo resistere, come specie umana, a un virus che, se da un lato non perdona nessun*, dall’altro ha messo in evidenza le profonde iniquità strutturali del sistema in cui viviamo. 

Oggi, 25 aprile 2020, tutte le persone antifasciste soffrono di non poter star fuori a celebrare e a testimoniare con i propri corpi la bellezza dei valori in cui crediamo. L’Anpi ha creato l’iniziativa #bellaciaoinognicasa, che consiste nel cantare Bella ciao dal proprio balcone alle 15, in tutta Italia. A Bologna, in via del Pratello, cuore delle iniziative cittadine che celebrano ogni anno la Liberazione, le persone, pur di esserci comunque in qualche forma, hanno tappezzato i portici di foto, spedendole alle compagne che abitano lì e chiedendo di appenderle. Ci sono anche il Cassero e la redazione della Falla: neppure noi volevamo rinunciare a questa presenza simbolica. 

Questi gesti non sostituiscono la presenza fisica, ma ci permettono di tirare avanti e di sopportare il dolore emotivo, che si somma alle restrizioni delle libertà personali e all’incertezza economica. 

Concediamoci di attraversare il dolore, per le mancate celebrazioni, per le nostre vite peggiorate, per tutte le persone morte di Covid-19 senza i propri cari accanto, per gli ultimi che su questa terra pare non possano essere mai primi.

Ma la Resistenza ci ha insegnato a non mollare, a non smettere di immaginare un futuro migliore, e da domani torneremo a onorarla con le azioni resistenti che compiamo ogni giorno, dal raccogliere cibo e denaro per le persone in difficoltà, a inventarsi come mantenere vivi La Falla e il Cassero, per quanto riguarda il nostro particulare, a lottare per realizzare una vera uguaglianza tra tutte le creature viventi. 

Foto in evidenza: Elisa Manici

Foto dell’articolo, nell’ordine: Irene Moretti, Elisa Manici, Giuseppe Seminario