di Elisa Manici

Koala morti. Koala salvati in extremis da umani o cani. Koala da adottare a distanza. Senza dubbio, il marsupiale in difficoltà, già universalmente amato per la tenerezza che suscita, è diventato il simbolo degli incendi australiani.

Mentre scrivo, nel mese di gennaio, l’Australia è in fiamme. Il fuoco ha cominciato a divampare in ottobre, e, a oggi, ha distrutto 11 milioni di ettari di terreno (110mila km²). Il numero di animali morti è al momento incalcolabile, così come i danni per la biodiversità sul lungo periodo, in un territorio che ospita molte specie viventi introvabili sul resto del pianeta.

Nel corso del 2019 ci sono stati anche gli incendi della foresta amazzonica, che hanno distrutto 906mila ettari (9060 km²), e quelli in Siberia, molto meno raccontati dai media, che hanno però interessato ben 3 milioni di ettari (30mila km²).

Gli incendi ci sono sempre stati, anzi alcuni habitat, come il bush australiano, si sono sviluppati evolutivamente per bruciare velocemente e poi rinascere, ma non in queste estensioni, non così tanto fuori controllo. Sarebbe stolto non considerare il cambiamento climatico tra le concause di queste devastazioni.

Certo, i leader politici dei Paesi interessati sono stati come minimo inadeguati, per non dire criminali: il premier australiano Scott Morrison, l’uomo del carbone, era in vacanza alle Hawaii quando tutto è cominciato, e non si è precipitato a casa, anche se poi se ne è scusato. Jair Bolsonaro, il presidente brasiliano, e Vladimir Putin, quello russo, basta ormai nominarli per evocare il male; siamo quasi al parossismo macchiettistico, e l’ambiente non è un’eccezione nella loro condotta.

Ma le colpe enormi e strutturali dei governanti e del capitalismo non devono essere una scusa per continuare nichilisticamente ed edonisticamente a danzare sul ponte del Titanic, confortate dalle comodità della vita occidentale.

La responsabilità è anche nostra, dobbiamo ridurre velocemente le nostre emissioni con azioni collettive che abbiano un alto impatto.

A meno che non preferiate trascorrere la vecchiaia in un mondo arroventato, a combattere per l’acqua e la benzina, come in Mad Max, che nel 1979, quando uscì, era considerato distopico, e ora pare un futuro prossimo probabile.

Pubblicato sul numero 52 della Falla, febbraio 2020