di Vincenzo Branà

All’indomani dell’intollerabile raduno reazionario tenutosi a Verona e soprattutto della straordinaria manifestazione di protesta che ha unito in un fronte unico le tanti voci che nel nostro Paese rivendicano diritti e autodeterminazione per tutte, è necessario chiedersi come mai il World Congress of Families, che mai prima d’ora aveva trovato spazio in un Paese fondatore dell’Unione europea, sia stato accolto, con tanto di loghi istituzionali e alte cariche dello Stato, proprio in Italia. La risposta più elementare, cioè il peso della Lega di Salvini nell’attuale compagine di governo, non scioglie in realtà la questione più profonda, cioè l’assenza di anticorpi politici nel nostro sistema culturale tali da respingere le cordate di fascisti imbellettati.

Se ancora oggi pensieri d’odio e di oppressione nei confronti delle donne e delle persone LGBT+ possono non solo essere inclusi nel dibattito politico italiano ma anche godere di un certo consenso, significa che qualcosa non ha funzionato, che esiste una lacuna grave, una falla che rischia di farci colare a picco. Per essere ancora più espliciti: se essere un Paese fondatore dell’Unione europea non ha implicazioni dal punto di vista del riconoscimento dei diritti umani, civili e sociali, allora qualcosa, nel modo in cui abbiamo costruito questa Europa, non va. Ed è necessario dirlo ad alta voce, senza il timore di passare per antieuropei, anzi con tutta l’intenzione di rilanciare l’idea dell’Europa di cui ci sentiamo parte. Un’Europa che non significhi solo mercato e moneta unici, ma anche – anzi, soprattutto – valorizzazione delle differenze – di genere, orientamento sessuale, condizioni fisiche ed economiche, provenienza. Se questa dimensione non saprà rappresentare l’architrave di una nuova Europa, cioè un vincolo e non soltanto un auspicio o una possibilità, avremo svuotato il senso di questa comunità sovranazionale e ne avremo consegnate le sorti ai venti oscuri delle destre più feroci.

pubblicato sul numero 44 della Falla, aprile 2019

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