Recensione di Reservation Dogs la nuova serie di T. Waititi e S. Harjio

Con regia di T. Waititi e S. Harjio e un cast di solə nativə americanə, Reservation Dogs, su Disney+, porta alla ribalta il destino sconsolato dellə ultimə d’America, in chiave ironica e con uno spiccato gusto anni novanta. Siamo in Oklahoma e lo spazio dove si inerpicano e sprofondano le storie dellə protagonistə è la riserva: qui il destino non decolla, ma ristagna nello sconforto delle identità che si sgretolano, soggiogate dall’angosciante dramma di sogni che sembrano esistere solo sulla strada che conduce in California. Gli sguardi infranti vagano alla ricerca di punti fermi, ma trovano solo terra arida e cieli plumbei. I confini non hanno termine e la vita si svolge in un cerchio penitente: la fuga, perciò, diviene il tramite per promuovere le proprie possibilità.

Il trauma storico ha condotto a uno stato di deturpazione identitaria, attutita da un sofisticato “native humor”: ə personaggə sono figure tragicomiche che, attraverso scene esilaranti, sfidano lo stereotipo hollywoodiano dell’indigenə saggiə, pur vivendo il rammarico, tutto moderno, di una cultura che si sgretola. Ə “Rez”, nomignolo identificativo di chi risiede nella riserva, nel tepore della terra su cui camminano, sperimentano, con disperazione e senza prospettive, ma con una dissacrante comicità, la loro identità di genere e indigena. È estenuante avere speranza in un luogo in cui è mancata un’educazione sentimentale e dove, alcuni decenni fa, vi era una damnatio memoriae. Nelle riserve non ci si accorge che sono le proprie radici la vera salvezza, complice il disprezzo interiorizzato dell’uomo bianco che fa vacillare: così, ogni giorno, si sperimenta con la vita, tra lutti e risalite, e tutto ciò non può prescindere dall’essere nativə americanə: ə ragazzə lo imparano a loro spese, attraverso un’educazione precaria ricavata non dalla scuola ma dalle esperienze di strada: piccoli furti e le rivalità tra gang. Il linguaggio, ironico e ricco di slang, tipico delle commedie americane, è sostenuto dagli sguardi merlati di tristezza per un futuro incerto, incancrenendo, così, il senso di straniamento con ciò che vediamo.

Le emozioni che traspaiono sono insoddisfazione, afflizione, delusione. I sogni si inceppano su speranze tradite, perdendo il diritto di essere tali e scivolando in una sofisticata e ripugnante necessità di guardare alla realtà. Stare nella riserva significa vivere in uno spazio statico e senza tempo, mentre il mondo fuori scorre incessante, in un vortice implacabile che vede il cielo colorarsi di un azzurro che lì appare più opaco. 

La riappropriazione culturale diviene impalpabile e ironicamente deprimente. Gli episodi intersecano elementi sciamanici a contemporanei. Figure mitologiche e polizia tribale regalano riflessioni malinconiche e insieme spassose: tuttə ə personaggə si collocano sullo stesso piano, livellando le disparità tra cattivə e buonə per ricordarci che il vero nemico è l’ignoranza dell’uomo bianco. E per quanto ə giovanə aspirino al superamento del trauma generazionale, è impossibile non percepire il lacerante dolore della perdita dell’identità. Ə “Rez” cercano di entrare nel flusso del tempo rincorrendo disperatamente le ultime mode, la nuova musica, le terminologie della comunità LGBTQ+, ma il vento che soffia perenne su quelle terre millenarie spazza via ogni tentativo di appartenere.

Nella serie si respira un disagio esistenziale rappresentato metaforicamente dai confini della riserva, che viene acuito proprio dal profilo comico dei personaggi. Il tempo rallenta in uno stagno di agonia in cui è impossibile aspirare al futuro. Il mondo non ha orizzonti, ma finisce ai propri piedi: è impossibile da costruire. Ciò a cui tuttə si aggrappano sono miti distrutti di epoche appassite, accompagnate dalla musica iconica dei Redbone. Personaggi come il premio Oscar Wes Studi o Zahn McClarnon, che costruiscono un sentimentale e divertente ponte tra vecchio e nuovo, sono necessari quanto effimeri. Vivere nella riserva diviene una condanna e la fuga rappresenta la certezza di un respiro a pieni polmoni: «Se scappo, sopravvivo. Se rimango, muoio». Il sangue dellə protagonistə perde, così, la vivacità del rosso infuocato che imbratta le vene e sbiadisce nel rame polveroso della terra disgraziata su cui sono cresciuti, violentata, maciullata, depredata e disprezzata. È un percorso fragile e incessante di crescita e decrescita, di perdita e di scoperta. Eppure dopo questa serie, forse, essere nativə americanə può apparire come una faglia ricca di nuove radici pronte a sorgere.

Immagine in evidenza da ign.com, immagine nel testo da daninseries.it