Versione audio su Spreaker

“Hai un viso così carino! Se solo fossi più magra saresti bellissima”. Una frase che molte persone grasse si sono sentite dire spesso da amici, o colleghi, o parenti armati delle migliori intenzioni. Questo è un esempio delle micro-aggressioni che le persone grasse incassano tutti i giorni. Cos’è una micro-aggressione? Lo sminuire e l’insultare persone che appartengono a gruppi sociali marginalizzati, che avviene in modo non apertamente aggressivo, tanto da essere socialmente accettabile. La cosa peggiore delle micro-aggressioni ai danni delle persone grasse è che chi le subisce non è visto come una vittima. La società occidentale è strutturata in modo che le persone grasse siano percepite come di minor valore, e senza la volontà necessaria a controllare il proprio corpo, quindi a molti sembra che si meritino questo trattamento.

“Ma come stai bene? Sei dimagrita?”

Poi c’è il fat talk, il “parlare grasso”, una forma particolarmente insidiosa di micro-aggressione, a opera di persone snelle o comunque non definibili come grasse, che hanno interiorizzato il fat shaming, e che usando il fat talk cercano di alleviare il loro senso di colpa per quello che hanno mangiato e/o per l’esercizio fisico che non hanno fatto, oppure che praticano una forma perversa di umiltà sociale, volta in realtà alla ricerca di complimenti.

“Oggi niente palestra e invece hamburger con le amiche. Che obesah che sono”.

Ultima forma specifica di micro-aggressione, e probabilmente la più sgradevole, è il troll della (falsa) preoccupazione per la salute.

“È per il tuo bene”.

Sono tutti esempi di micro-aggressioni, che sembrano apparentemente innocue, ma che, esaminate più da vicino, sono un riflesso molto chiaro dello status delle persone grasse nella società occidentale contemporanea. Uno status che porta con sé uno stigma innegabile.

Ma cosa succede se capita di essere persone grasse E queer, cioè cosa succede se nel proprio stesso corpo si incarna l’intersezionalità tra tipi diversi di oppressione? Succede che, prevedibilmente, la propria qualità della vita e lo stigma che pesa su di sé saranno peggiori. Succede che, spesso, non si è del tutto accettati nemmeno all’interno della comunità LGBT+, che a parole è inclusiva verso tutte le diversità, e nei fatti è spesso ferocemente grassofoba. Succede che aumentano le probabilità di essere percepiti come creature disumanizzate, cosa che accade purtroppo in automatico quando si porta con sé uno stigma. Figurati due (o più).

Eppure, le similarità tra la queerness e la grassezza sono molte e profonde, nonostante la grassezza sia uno stigma visibile e la queerness possa essere anche invisibile. Ad esempio, sono entrambe condizioni di cui si ricercano ancora oggi le cause: dipende da un ormone? Da un gene? Oppure è una scelta? E se è una scelta, è il sintomo di un problema sottostante?

Sia la grassezza che la queerness condividono una reputazione di devianza sessuale: le persone grasse in quanto considerate asessuate o, al contrario, dotate di appetiti smodati, quelle queer in quanto “anormali”. E può accadere che, se una persona debole rispetto alle pressioni sociali si invaghisce di una grassa e/o queer, non abbia nemmeno il coraggio di dichiararsi, per timore dello stigma indiretto che ricadrebbe su di lei, in quanto amante del freak nel caso della grassezza, e/o neo-omosessuale nel caso della queerness.

Ma l’elemento di similarità più forte è il processo di coming out, che, sia pure mutato nei contenuti, in entrambi i casi porta a una maggiore serenità. Nel caso della grassezza, viene usato per reclamare uno stigma visibile come parte stabile della propria identità, smettendo di (far finta di) credere che la propria grassezza sia solo una condizione temporanea.

E allora, amiche grasse, fate coming out: mettetevi in costume, ballate, fate sport se vi diverte, non abbiate più timore di mangiare in pubblico, fate le cose che fino ad oggi vi siete vergognate di fare, gioite della vostra vita, del vostro corpo, e del piacere che vi può dare, iniziate a volervi un po’ più bene. Non ci vorrà un giorno, dovete decostruire un mostro che la società ha piazzato dentro di voi. Ma ne sarà valsa la pena.

pubblicato sul numero 16 della Falla – giugno 2016

Foto : Sara Davidmann, queerfatfemme.com, www.hammeronpress.net