Con Paris 05:59 (Théo et Hugo dans le même bateau), interpretato da Geoffrey Couët e François Nambot per la regia di Jacques Martinau e Olivier Ducastel, continua la rassegna cinematografica di Gender Bender 2016. Il film, vincitore del Teddy Award 2016 al 66° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, sarà in replica il 30 ottobre al Cinema Lumiére di Bologna.
Una darkroom fitta di corpi nudi che si intrecciano tra luci rosse e lampi bluastri non è, secondo un luogo comune vieto quanto diffuso, lo scenario ideale per la nascita di un amore. Eppure è proprio in una darkroom parigina che prende le mosse la vicenda di Hugo e Théo in Paris 05:59 di Olivier Ducastel e Jacques Martineau. Gli echi cinefili del titolo originale (Théo et Hugo dans le même bateau) svaniscono nella sua versione inglese, che tuttavia ha il pregio di evidenziare un elemento apparentemente secondario ma che in realtà permea il film al punto da costituirne un ulteriore personaggio: Parigi. La ville lumière, la city of lights, che in letteratura, al cinema e nelle canzoni è stata teatro di elezione per innumerevoli passioni più o meno travolgenti, svolge ancora una volta in maniera egregia il compito che l’immaginario comune le ha assegnato.
E’ una Parigi non da cartolina, notturna e quasi onirica (i club del Marais, ma soprattutto il X arrondissement tagliato dal Canal Saint Martin coi suoi ponti di ferro, area borghese e bohémienne stretta tra enclave multirazziali, lontana dai giri turistici più inflazionati e prediletta da una fauna un po’ snob) e fa da perfetto contraltare visivo ad una storia altrettanto poco convenzionale: per quanto nella realtà l’amore si muova spesso tra locali, sesso, smartphone, sale d’attesa di ospedali, test HIV, terapie antiretrovirali e kebab sbocconcellati per strada, è curiosamente raro che sullo schermo venga rappresentato in questi termini. Con una franchezza visiva che riecheggia lo Shortbus di qualche anno fa nel mostrare erezioni e nudità, e con una delicatezza e profondità d’introspezione più accentuate che nel Weekend riapparso da poco nelle sale italiane, Paris 05:59 è un viaggio in tempo reale tra il bagliore del colpo di fulmine e un’alba gravida di speranze e incertezze.
Sono i sentimenti e le mutevoli emozioni di Théo e Hugo –il primo impiegato in uno studio notarile, trasferitosi nella capitale per lasciarsi alle spalle una realtà provinciale fatta di oppressione e ignoranza, il secondo uno stagista con velleità umanitarie nato e cresciuto in città: dunque ragazzi comuni- ad animare un paesaggio urbano altrimenti quasi deserto, ed appaiono perfettamente naturali e condivisibili grazie all’interpretazione ricca di sfumature di François Nambot e Geoffrey Couët. Pochissime sono le figure che per qualche attimo rubano loro la scena e, più che rappresentare inutili distrazioni dal racconto principale, sembrano avere la funzione di contribuire alla sua definizione collocandolo all’interno di un quadro più complesso : il vecchio omofobo nella sala d’aspetto, il venditore siriano di kebab scampato alla guerra e la donna di mezz’età fuggita dalla provincia sono apparizioni quasi da sogno incaricate di aprire squarci su realtà altre e tuttavia legate, per contrasto o assonanza, a quella dei due protagonisti. Il film avanza attraverso un continuo e sicuro compenetrarsi di realismo e visionarietà: dalla darkroom all’Hôpital Saint Louis, dal Canal Saint Martin ai boulevard deserti, i luoghi dell’azione conservano la loro concretezza eppure risultano trasfigurati da una dimensione notturna che, come osserva uno dei protagonisti, è dominio quasi esclusivo di coloro a cui vengono lasciati i lavori sporchi e i compiti più difficili, cioè donne e froci.
Gli elementi più appariscenti della storia -la sieropositività, i medicinali, le terapie antiretrovirali, i test, il sesso sicuro e quello non protetto, i luoghi comuni sul maggiore o minor rischio di alcune pratiche sessuali o alcuni ruoli- scivolano in maniera naturale nell’universo sognante e al tempo stesso vigile di Hugo e Théo, costituendone l’ossatura e quasi assegnando al film una funzione didattica non trascurabile. Siamo lontani anni luce da Montmartre e dal Moulin Rouge come pure dalle diagnosi senza scampo e dagli amori disperati di fine Ottocento, ma ci troviamo comunque in “quel popoloso deserto che appellano Parigi”: può essere che qualche illusione romantica -pur tra assai contemporanei dubbi sulla durata dei rapporti umani, se non addirittura grazie ad essi- riesca a sopravvivere e a fiorire meglio che in un passato idealizzato.
Il film sarà replicato domenica 30 ottobre, alle ore 20, presso il Cinema Lumière (piazzetta P. P. Pasolini, 1) – ingresso intero: 7€, ingresso ridotto: 4€ (GB Card, soci Coop, Amici della Cineteca).
Per saperne di più
Il programma di cinema di Gender Bender 2016
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