Common Emotions di Yasmeen Godder

In linea col nome di questa edizione del festival Gender Bender porta ha portato in scena ieri una performance decisamente Radical Choc! Common emotions è uno spettacolo che decostruisce, ridiscute e contestualizza lo spazio, emotivo e fisico che attraversiamo. Una replica è prevista oggi, venerdì 25 ottobre, alle ore 21 al Mercato Sonato. Seguirà una conversazione con l’autrice. 

Sei danzatori avanzano a piedi nudi verso una folla di spettatori senza nome, nei loro occhi lo sguardo orgoglioso e impassibile dell’artista che si prepara a mettersi in mostra, a gettarsi in pasto al giudizio del pubblico. Inizia così una sequenza di ballo coordinato, priva di musica, seducente, cadenzata solo dal suono dei corpi che si appropriano dello spazio, si contraggono e si sciolgono, si mettono in vibrazione in un flusso di movimento ininterrotto.  

Ma una voce spezza la solenne impenetrabilità del momento: «Hello!» esclama uno dei ballerini guardando verso il pubblico. «Hi!» ripete un po’ interdetto quando non riceve risposta: e il pubblico si risveglia.

«C’è voluto un anno per portare a termine questo progetto», dice Uri Shafir, uno dei ballerini, alla fine dello spettacolo «abbiamo dovuto fare un lavoro sulle nostre emozioni, collaborando inizialmente con degli scienziati per poi continuare a sviluppare il nostro percorso autonomamente».

Common emotions è uno spazio condiviso, prima che performativo, un canale di dialogo aperto fra il pubblico e gli artisti, che ha le sue regole: una grande cortina viene messa in piedi all’inizio dello show, come un sipario che sta dietro ai ballerini anziché davanti, un patchwork disordinato e coloratissimo di brani di stoffa assemblati alla rinfusa come nel disegno di un bambino.

«Quando uno dei ballerini si mette a destra o a sinistra della cortina» dice ancora il ballerino che ha parlato per primo «siete invitati a raggiungerci dietro il sipario: in gruppo, da soli, una sola volta o più di una».

L’essenziale scenografia individua così due spazi: quello pubblico, il vero e proprio palcoscenico, dove alcuni ballerini continuano la loro coreografia, e quello intimo, nascosto, che sta dietro la cortina e in cui si instaura il contatto fra gli spettatori e i ballerini. 

Così, in momenti diversi dello spettacolo, tutti sono chiamati a unirsi ai ballerini e a esplorarsi, a esplorare l’esperienza del contatto fisico con persone mai viste prima, a tenersi per mano, a sostenere il peso gli uni degli altri, a essere a turno attori e spettatori e poi di nuovo attori dello spettacolo. La coreografia sul palco intanto prosegue, inizialmente ripete lo schema iniziale, ma la monotonia viene subito spezzata: la ripetizione dei movimenti ne garantisce la riconoscibilità, così che ogni differenza, ogni imprevisto, ogni fantasiosa variazione ne risulta immediatamente potenziata e veicola sempre nuove emozioni.  

«Ho bisogno di almeno tre esseri umani», «ho bisogno di cinque persone che abbiano più di diciotto anni», «ho bisogno di un volontario», si alternano i ballerini che chiamano il pubblico dietro il sipario: così alcuni gruppi sono chiamati a gridare e protestare, altri a ridere, altri ancora a piangere e a vedere con sorpresa lacrime vere che bagnano gli occhi degli altri sconosciuti; una fila di spettatori viene fatta passare proprio in mezzo ai danzatori che continuano a ballare, un gruppo ricopre di insulti un ballerino completamente nudo, un altro ballerino, in lacrime, viene abbandonato sulle gambe di una spettatrice, chiamata a cullarlo.

Il titolo dello show risulta sempre più chiaro: le “emozioni comuni” indagate dallo spettacolo e riflesse in un gioco di specchi tra gli artisti e il pubblico sono quelle che ci legano tutti in un unico impasto di umanità: vengono subito in mente le sei emozioni fondamentali individuate dalla psicologia di Eckman, o forse più semplicemente la corona di emozioni intense e immedicabili che accomunano tutti i bambini.

Presto la dialettica tra il dentro e il fuori viene spezzata e i due spazi si mescolano, si scambiano, vengono messi in discussione, la danza si fa più frenetica, mette in scena l’euforia, la seduzione, la disperazione, la paura, il disgusto, alcuni ballerini indossano maschere, altri bizzarri costumi dal sapore tribale, altri ancora indossano la scenografia stessa, avvolgendosi nella cortina e rotolandocisi dentro fino a staccarla dai suoi supporti.

E il climax dello spettacolo porta gradualmente tutti gli spettatori, lasciate le sedie, a formare una massa lunga e articolata di persone che si tengono in contatto e invadono tutto lo spazio, finché non rimane più nessuno a non far parte dello spettacolo.

Common emotions è uno dei tanti progetti radicalmente sperimentali di Yasmeen Godder, coreografa israeliana di fama internazionale formatasi a New York che lavora attualmente a Jaffa, e che a questo spettacolo prende parte anche come performer. La location del Mercato Sonato di Bologna, spazio aperto e privo di quinte e backstage asseconda perfettamente il concept del progetto, garantendo spostamenti fluidi e veloci tra i due spazi della sala.

Alla fine, tra i dialoghi e i reciproci ringraziamenti fra ballerini e spettatori, si esce con la sensazione di aver creato dei legami che solo nello spazio privilegiato dello spettacolo hanno potuto manifestarsi con questa potenza e immediatezza, senza bisogno di altre spiegazioni.

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