Un’esistenza trans fra quotidianità e rituale
Il clima inclemente della serata bolognese appena trascorsa non scoraggia il pubblico che alla prima assoluta di I love my sister, terzo atto della trilogia Ode alla Bellezza di Enzo Cosimi, riempie la sala allestita al Cassero LGBTI Center. I tanti rimasti vanamente in fila avranno la possibilità di rifarsi con la replica in programma questa sera alle ore 21.
Quando il pubblico prende posto in sala, il protagonista Egon Botteghi, performer non professionista, come gli altri scelti da Cosimi per i due episodi precedenti del suo ciclo, è già in scena. L’allestimento è essenziale ma assai curato: suggestive le sonorizzazioni che accompagnano la recitazione di Botteghi e riuscita la scelta di affiancare alla performance la proiezione di elementi visuali che amplificano in diretta il punto di vista del pubblico sulla scena in atto. Unica pecca, forse, il posizionamento di alcuni oggetti scenici, che risultano poco visibili dalle ultime file. La quarta parete è rotta da una parabasi di Botteghi, che presenta al pubblico lo spettacolo e se stesso, e dalle frequenti incursioni in scena di Stefano Galanti, che manovra le luci e le proiezioni, fermandosi occasionalmente a interagire in silenzio con Botteghi.
Nella rappresentazione del progressivo disvelarsi (non solo metaforico) di Botteghi, del resto, è evidentemente attiva una dialettica fra lo sguardo dell’autore, desideroso di esplorare quel che di bello c’è in queste esistenze nascoste, e la consapevolezza di sé del protagonista, che, lungi dal considerarsi una persona ai margini, porta in dote il suo vissuto di destabilizzante normalità: lo sforzo di comunicazione fra questi due poli ha prodotto un’opera certamente apprezzabile, come testimoniato dal caloroso applauso del pubblico sul finale.
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