LA LESBIAN FREE ZONE DEI RECENSORI ITALIANI

Cosa rende lesbico un film? 

La domanda di Federica Fabbiani nel suo Sguardi che contano. Il cinema al tempo della visibilità lesbica (Iacobelli, 2019) non trova risposta in tutte le recensioni italiane de La ragazza d’autunno di Kantemir Balagov (2019). Anzi: non solo non viene posta, non viene nemmeno considerata l’ipotesi che il film parli di qualcosa che non sia un’amicizia tra ragazze con momenti ricattatori e patti morbosi.

Il tutto nella fangosa cornice di un luogo ad alto tasso di feticismo storico come la Leningrado immortalata da Shostakovic nelle sinfonie resistenti del popolo russo e da William T. Vollmann nel mirabile e pletorico romanzo Europe Central (2005).

Ebbene, a parte il feticismo dei recensori, è tutto falzohhhhhh! È un film lesbicissimo, sia perché la storia tra le due ragazze traumatizzate e stuprate in guerra è una storia d’amore, sia nell’accezione più politica enucleata nel testo di Fabbiani: lesbismo come dissidenza, posizionamento eccentrico e queer, zona di criticità non limitata, visione area brossardiana, e chi più ne ha più ne metta.

Momenti di forte dissidenza, che ci fanno pensare che – nonostante quel che sappiamo – nella Russia di Putin il talento e anche una notevole capacità di rappresentazione libera da schemi eteropatriarcali siano più possibili che in Italia. Nel film non si tratta di solo lesbismo, ma anche di disabilità, suicidio assistito, visione psichica del bisogno indotto e autoindotto di maternità, una sorta di coazione riproduttiva, violenza pervasiva e reazioni a essa, con un discorso profondo sull’universo dei traumatizzati e delle traumatizzate da una storia che rende tuttu prigioniere.

Non solo stalinismo, come da recensioni italiane, ma un presente storico che avviluppa gli spettatori globali.

Fra i momenti notevoli anche un sosia di Putin giovane – il Grande Leader cominciò la sua resistibile carriera proprio a Leningrado – e una visione della famiglia comunista in senso borghese e patriarcale.

Le lesbiche vivono un minority stress insostenibile, dalle mille diramazioni nevrotiche, cercando vie di sopravvivenza in non-luoghi devastati e freddi, dove lo stupro è realtà e comunque la negazione di una via d’uscita impera.

Tuttavia non sono patetiche, sciolgono a loro modo il morbo e mettono in moto reciproci riconoscimenti, dolorosi e faticosi passi di libertà. Segnano, nonostante il tutto oppressivo della storia e della devastazione, un percorso comune che ci coinvolge e scioglie nodi anche nostri.