FANNO PIÙ NOTIZIA LE DONNE O LE SARDINE

di Elisa Manici

Il 23 novembre scorso si è tenuta a Roma la manifestazione annuale organizzata dalla rete femminista Non una di meno, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne e di genere (25 novembre, ndr) che, secondo le organizzatrici, ha visto la partecipazione di 100mila persone. È dal 2016 che sono riprese le grandi manifestazioni nazionali delle donne e che si è sviluppata Nudm, quindi il concetto “manifestazione nazionale delle donne” dovrebbe essere ormai familiare e organicamente inserito come argomento da trattare nell’agenda dei media, anche di quelli generalisti. 

Invece no.

Pare di assistere di nuovo al fenomeno per cui fino per lo meno al World Pride di Roma del 2000 nessun* faceva mai un servizio sui Pride, tranne il TG3 che nella Rai lottizzata era in quota Pci-Pds-Ds. Poi certo, ora che non ci sono più Pride nazionali ma l’Onda di quelli locali, si può evitare di occuparsene del tutto, se non, appunto, a livello di informazione locale. Ma questa è ancora un’altra storia.

Le sardine, invece, sono amatissime dai media generalisti, in modo particolare il loro ricciuto portavoce, Mattia Sartori, e fin dalla prima manifestazione bolognese del 14 novembre 2019 hanno goduto di una esposizione mediatica continuata e a 360 gradi. 

Non importa il numero di femminicidi (142 nel 2018, secondo il rapporto Eures uscito in concomitanza col 25 novembre) e di violenze sulle donne che avvengono in Italia, non importa che le donne siano de facto la maggioranza in quanto, stando al – pur troppo binario – censimento Istat del 2012 (l’ultimo, ndA), in Italia abitano 52 donne ogni 100 persone. 

Il potenziale offerto dallo storytelling dei bravi regaz che si oppongono civilmente al trucido Salvini è troppo allettante per i media, oltre alla valutazione per cui la “politica vera” è considerata tema di interesse universale, al contrario della violenza di genere. Non importa nemmeno, nell’attuale momento di binge eating collettivo, se le sardine si occupano, nel loro manifesto, solo dei modi, e non fanno alcun cenno alle condizioni di vita materiali della gente, in caduta libera dalla crisi iniziata nel 2008. O se, alla manifestazione romana dello scorso 14 dicembre, le “sardine nere”, i migranti che chiedevano di prendere parola, sono stati fatti salire sul palco soltanto al termine dei comizi, alzando immediatamente la musica e nei fatti impedendo loro di parlare. 

Se un albero cade nella foresta e non c’è nessuno a sentirlo, fa rumore? 

Il filosofo empirista e vescovo anglicano George Berkeley, inventore di questo famoso dilemma, sosteneva di no. Aggiornando l’interrogativo all’oggi, potremmo riformularlo così: se qualcosa accade ma non va in tv, per la famosa e ormai anziana – ma ancora votante – casalinga di Voghera, è mai successo? Se qualcosa accade ma non va su Internet, in particolare sui social, è mai esistita davvero? Oltre ad accumulare energia emotiva di weberiana memoria, che l’attivista possa spendersi nei giorni faticosi delle lotte quotidiane, la risposta è chiara: no, non esisti se non sei anche su Internet, in una commistione tra qui e ora e virtuale ormai inestricabile. 

E allora, per fortuna che esistono i social, per fortuna che esistono i media di nicchia, politicamente schierati: serve una lettura della realtà che funga da contro narrazione rispetto al sistema valoriale predominante. 

Unico paletto: fornire un’informazione di valore, con una seria verifica delle fonti, che non miri ad approfittare delle rabbie, delle frustrazioni e dei bassi istinti in nome di un click o di una copia in più.

Pubblicato sul numero 51 della Falla, gennaio 2020

immagine da www.dinamopress.it