Il 7 settembre è stata ricordata Marcella Di Folco a dieci anni dalla morte. Le avrebbe fatto piacere, avrebbe forse riso, pianto, cantato sentendo quanto affetto abbia suscitato in chi l’ha conosciuta e come la sua vita abbia lasciato tracce profonde in quelle di tante altre persone.
Ho pensato, quel pomeriggio mentre fuori pioveva di brutto ed ero senza ombrello, che i necrologi dovrebbero venire resi pubblici quando le persone sono in vita.
Lo feci con mia mamma nelle ultime settimane, dicendole quanto le fossi grato. Non che fossimo sempre andati d’accordo: le avevo provocato sofferenza, mi aveva dato dolore. Ma sentivo di doverlo fare, di non poterla lasciare andare via senza che sapesse quanto la sua vita avesse avuto valore. Ascoltò quella mia orazione funebre pronunciata anzitempo guardandomi negli occhi. E mi sembrò che ne fosse soddisfatta.
Piccole esistenze in questo immenso universo, piccole anche per la Terra, quella di mia mamma, quella di mio babbo. Ed eroica, come è quella di tante e di tanti che provano la fatica di vivere, di far quadrare i conti, con i propri limiti, le difficoltà, la fatica fisica, vivendo nell’anonimato delle città dove quasi tutto si consuma e passa in fretta.
Gianluca Borghi, suo compagno nei Verdi, ha ricordato un tratto importante di Marcella: era disinteressata, è morta povera. Ora Bologna dedicherà una via a Marcella Di Folco. Bellissima iniziativa, mi ha commosso. Anche una pensione più ricca in vita, però, non avrebbe guastato.
Pubblicato sul numero 58 della Falla, ottobre 2020
Immagine nell’articolo presa da www.osservatoriogender.it
Perseguitaci