Un ragazzo malmenato a Bologna perché ritenuto finocchio.
Ma se il ragazzo è dolorante, il bullo, l’idiota, l’aggressore è il perdente. Perché il ragazzo non tace, sa di non meritare quella violenza, non abbassa gli occhi, si ribella, denuncia, va a testa alta. Ha vinto lui.
Qualche giorno dopo ho partecipato con mio figlio e il mio compagno a un appuntamento sciamanico in piazza San Giuseppe, luogo dell’aggressione, promosso da un gruppo eterogeneo di favolosità.
Lo si fece anche nel 1981, prima di conquistare il Cassero di Porta Saragozza. Avevamo ottenuto dal Comune cinque bacheche (ridenominate “bachecche”) sulle quali affiggere volantini e altro materiale del Circolo XXVIII Giugno (questo il nostro nome allora, di transizione tra il precedente Collettivo Frocialista e il successivo Cassero).
Quella in piazza Verdi venne abbattuta. Così si organizzò una macumba e venne lanciato un esorcismo: “Malocchio, malocchio, chi tocca la bachecca diventi finocchio!”. Funzionò: la bachecca non venne più colpita, i finocchi si moltiplicarono.
Certo, a quei vigliacchi viene voglia di dare una bella tamburata, per ritorsione, senza intenti pedagogici. Chi se ne frega se non capiranno.
In Cent’anni di solitudine Gabriel Garcia Marquez fa dire a uno dei Buendia che lui non ha mai giocato a scacchi perché non capisce come si possano adottare le stesse regole ed essere avversari. C’è del vero. Ma quello dell’esercizio della forza è davvero un campo che ci è estraneo? Forse, un po’, andrebbe frequentato.
pubblicato sul numero 35 della Falla – maggio 2018
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