L’Italia sta lì in mezzo a venti di guerra, persone che cercano rifugio, cambiamenti climatici che si manifestano subdoli con giornate splendidamente luminose in un inverno siccitoso. Manca l’acqua e già si corre ai ripari progettando nuove dighe per trattenerla e poi rilasciarla alla bisogna. La Pianura Padana è terra, oltre che di motori, di macchine per il packaging e di biomedicale, di grandi prodotti agroalimentari, e senz’acqua non vive. Dove ci porterà tutto questo, ancora non è del tutto certo. La miscela è potenzialmente esplosiva, se non già esplosa. E l’insicurezza stringe le libertà, le mette a repentaglio. Un progressivo smottamento nell’ambito pubblico con riflessi nel privato, una voglia di controllo sulle vite che passa attraverso il proliferare di telecamere e di dispositivi tecnologici, quelli che portiamo a spasso, i nostri smartphone, che sembrano sapere di noi più di quanto si sappia noi stessi. Controllare, nell’illusione di poter controllare davvero, instaurando un ordine che è una categoria mentale, ideologia dell’omologazione, mano libera e pesante contro chi si oppone. Dove non ci sia posto per chi è e agisce in direzione contraria. La rievocazione del mondo antico, Dio patria e famiglia: un programma che è uno scongiuro e nulla di più, per poi farne norma e leggi e oppressione. Mentre le guerre diventano sempre più guerre, la siccità si impone, i mari si innalzano. E invece abbiamo bisogno di più libertà, di pace, di conflitto e di umanità.

Pubblicato sul numero 52 della Falla, febbraio 2020