LA NON BINARIETÀ TRA COSTRUZIONE DEL SÉ E PRATICA POLITICA

Quando si parla di genere siamo abituati, per cultura, a pensare all’argomento nel contesto binario, ovvero all’idea che ve ne siano solo due, uomo e donna, e che tutte le persone ricadano inevitabilmente in una di queste categorie. La realtà è ben diversa. Non-binario è un termine ombrello utilizzato per descrivere una molteplicità di realtà identitarie e di modi di decostruire, criticare, fare e interpretare il genere che non riconoscono la costruzione eteronormata uomo/donna, ricadono al di fuori di essa o ne rielaborano alcuni aspetti.

L’identità non binaria viene normalmente fatta ricadere sotto l’ombrello “transgender”, tuttavia è in corso un dibattito in merito, che coinvolge i generi binari – uomo/donna – le identità trans e il concetto stesso di femminile e maschile. Molte persone non binarie si definiscono anche transgender, cioè non si riconoscono nel sesso assegnato loro alla nascita – e questo non implica una contraddizione né una ridondanza. Dichiararsi non binar* offre dunque un modo profondo di vivere ed esprimere lo spettro di genere, non limitandolo a “uomo” e “donna”.

Si sono, però, creati punti di tensione all’interno della comunità transgender, dovuti principalmente al concetto di disforia: una condizione di stress e sofferenza dovuta al non allineamento tra genere e sesso assegnati alla nascita e la percezione che l’individuo ha di sé. Non tutte le persone transgender hanno disforia, o lo stesso tipo di disforia, si tratta anzi per molt* di una condizione identitaria, e questo porta spesso a considerare le persone non binarie “non abbastanza trans”. Effettivamente non è sempre vero che la transizione di una persona sia dovuta alla disforia. In alcuni casi “transizione” potrebbe non essere nemmeno il termine adatto: alla base del discorso non binario c’è la consapevolezza che non esiste un corpo con un genere per natura, che tutti i corpi sono modificati in relazione al genere, che si usino la chirurgia e/o gli ormoni, o meno, e che anche le persone cisgender reificano il proprio genere conformandosi al discorso dominante sul femminile e sul maschile.

Tener conto solo di alcuni di questi aspetti e ignorarne altri è un classico esercizio di imposizione e controllo della narrazione utilizzato sulle minoranze dalla politica e dai gruppi di pressione che, di volta in volta, dicono di agire per la difesa della famiglia, delle donne, delle sexworker, ma solo in quanto vittime. Considerare l’alterazione dei corpi delle persone transgender come un processo sottoposto alle logiche del binarismo di genere e che le rinforza, passare al microscopio i comportamenti delle persone trans mentre si rimane ciechi alle pratiche più frequenti e familiari di genderizzazione per le persone cisgender è

esattamente quello che il sistema medico, transfobico, ha sempre fatto.
Una parte di persone non binarie sceglie di accedere alle terapie ormonali, o a queste e alla chirurgia, o soltanto alla chirurgia. Il ricorso a tali terapie non è un aspetto necessario ma visto che, come affermato poco sopra, alcune persone non binarie soffrono di disforia di genere, scelgono di allinearlo all’idea e alla percezione che hanno di sé.

Questo aspetto interseca sicuramente la questione transessuale e transgender, anche se, nel caso delle persone non binarie, non si accede alle terapie per approdare al sesso opposto e, a parere di chi scrive, vi è una diversa elaborazione della transizione, poiché anche questa diviene critica profonda del genere e quindi liberazione, non solo dagli stereotipi, ma dall’attuale costruzione del genere stesso.

Nel mio caso non posso affermare che ciò che mi spinge verso un processo di transizione sia la disforia di genere. Sebbene uno dei motivi è il non riconoscere completamente il mio corpo, quello fondante è la ribellione verso i confini estetici, di percezione e di costruzione del corpo stesso. La mia azione politica ed esistenziale è il e sul corpo.

Resta ancora molto difficile l’accesso ai trattamenti per le persone non binarie, sia per la mancanza di personale specializzato, sia per una narrazione trans marcatamente binaria, combinata con una cultura profondamente maschilista e patriarcale.

L’identità non binaria, inoltre, non influisce sull’orientamento sessuale. Ci si può infatti definire eterosessuale, gay, lesbica, bisessuale, pansessuale, etc, pur non ricadendo strettamente nelle categorie di uomo o donna. È anche possibile utilizzare il termine “queer” per indicare una certa fluidità del proprio genere, orientamento e comportamento sessuale. In questi termini una persona può avere un’identità ben determinata, ma essere estremamente fluida sessualmente. Questo pone molte interessanti questioni sul rapporto tra identità di genere e orientamento sessuale, nonché sulla permeabilità di alcuni aspetti che tendenzialmente si tengono separati.

La nostra cognizione del sesso – dai media alle canzoni d’amore – coinvolge corpi caratterizzati dal genere secondo la costruzione binaria. Alle coppie queer viene chiesto “chi è la ragazza”, anche quando non lo è nessun* dei due o lo sono entramb*, perché il sesso è eteronormato. Sperimentare il proprio corpo o quello di qualcun altro al di fuori dei paradigmi lui/lei, attivo/passivo, dominante/dominato, è un atto radicale di decostruzione e innovazione.Scoprire di essere non-binari può significare ridefinire quello che si è appreso sul sesso nel corso della propria vita. Questa ridefinizione a sua volta interferisce con gli orientamenti sessuali consolidati, e porta a riflettere sulla differenza tra orientamento e pratica sessuale, nonché all’allargamento, se non proprio all’abbattimento, dei confini tra gli orientamenti stessi. Per descrivere il modo con cui le singole soggettività si posizionano all’interno dello spettro non binario sono stati creati termini, ormai ufficializzati, come “genderqueer”, “genderfluid”, “bigender”, “agender”, “androgino”, e altri ancora continuano a essere coniati dalla comunità. Essendo queste identità in continua evoluzione, è bene utilizzare i termini con la consapevolezza che sono convenzionali e momentanei.

Se si perde di vista la funzione delle parole utilizzate per descrivere una condizione di mobilità e negoziazione di spazi tra i generi i termini utilizzati per le persone non binarie rischiano di divenire un confine e addirittura di creare un nuovo binarismo, perdendo così la carica sovversiva che ha portato a un allentamento dei confini tra i generi e a una messa in discussione degli stereotipi.

Quando parlo della mia identità non intendo una realtà fissa e permanente. Sono consapevole di creare il mio genere ogni giorno. Quello che faccio è indagare sul femminile e sul maschile ed elaborare un nuovo sistema di riferimento per il genere. La consapevolezza collettiva di essere in un momento in cui le identità sono liquide e i confini in ridefinizione, di invenzione di nuove parole e risignificazione di altre, potrebbe portare, in un futuro, ad abbandonare persino l’espressione “non binario”.

pubblicato sul numero 35 della Falla – maggio 2018