Per parlare di minoranze queer, è molto importante aver chiaro che tutte le identità racchiuse nell’acronimo LGBTQ+, per come le intendiamo oggi, non sono sempre esistite ma anzi si sono formate in concomitanza di determinati processi storici e sociali. Di conseguenza, è impossibile parlare di persone LGBTQ+ per qualsiasi periodo storico: comportamenti omo/bisessuali e identità diverse da quella che oggi definiremmo cisgender esistevano già, è vero, ma venivano considerati e vissuti in maniera completamente diversa. Così come le minoranze queer variano sull’asse diacronico, allo stesso modo variano su quello diatopico: non tutte le culture del mondo hanno lo stesso approccio al genere e alla sessualità, e lo stesso acronimo LGBTQ+ nasce in quello che oggi chiamiamo Occidente, pertanto applicarlo in modo acritico ad altre culture potrebbe essere inappropriato, se non addirittura colonialista. 

Ad esempio, in Giappone la realtà queer è davvero interessante, e la cultura pop, in particolare quella dei manga, potrebbe esserci di grande aiuto per scoprirla.  

Oltre le onde – Shimanami Tasogare è un manga pubblicato nel 2015 da J-Pop, dellә mangaka asessuale e X-gender Kamatani Yūki. Se il termine X-gender vi ha fatto alzare un sopracciglio, state cominciando a cogliere il senso di questo articolo: è un termine utilizzato da persone che nello spettro di genere non si riconoscono né nel maschile né nel femminile. Molto simile al nostro non-binary, differisce per il contesto culturale in cui è nata, dal momento che è un’identità riportata soprattutto in Giappone

Oltre le onde segue la storia del giovane Tasuku e della comunità LGBTQ+ della città di Onomichi, nello Honshū meridionale. Kamatani riesce a raccontare con estrema delicatezza e crudezza una storia che per quanto universale rimane strettamente ancorata al contesto giapponese. Tasuku e i suoi amici fanno parte dell’Adunata dei Gatti, un gruppo che ristruttura case in disuso: l’attività di ristrutturazione delle case è una delle metafore al centro del manga, che perderebbe parte del suo significato senza considerare la società giapponese. Se guardiamo al contesto socioeconomico, l’attività di restauro non è soltanto simbolo di distruzione e rinascita personale, dal momento che il mercato edilizio giapponese è una vera e propria giungla: una macchina che demolisce e riedifica ogni trent’anni, e che molto spesso lascia abbandonate quelle del Giappone rurale.

Così per Kamatani Yūki ristrutturare un edificio dimenticato da tuttә, che non ha più alcun significato perché non ha più alcun valore economico, diventa un segno di riqualificazione e riappropriazione dello spazio. L’invisibile comunità LGBTQ+ e le case abbandonate della città si aiutano a vicenda: la prima dà loro nuova vita, le seconde donano alla comunità un luogo di aggregazione. In Oltre le onde si abbattono muri per poi ricostruirli a proprio piacimento e mentre si plasma lo spazio – e così la società – nascono spazi sicuri da ciò che il mercato scarta e, cosa ancora più importante, la comunità LGBTQ+ si riconnette al proprio passato: periferia e minoranze queer fanno entrambe parte di una tradizione che si tende a dimenticare. La società giapponese infatti, prima dell’occidentalizzazione attuata in epoca Mēji, presentava diverse forme di identità non eterosessuali e/o non cisgender. Alcuni esempi possono essere gli onnagata, attori del teatro kabuki che interpretavano ruoli femminili, i kagema, sex worker che esercitavano la professione in abiti tradizionalmente femminili, o le shirabiyoshi, cortigiane di epoca Heian che si esibivano in abiti culturalmente maschili. Mark McLelland, nel suo saggio Queer Japan, specifica che questi «performer transgender […] non erano visti come personalità diverse, ancora meno come ‘sessualità’ devianti, ma come categorie professionali», quindi con un’intenzione completamente diversa da quella con cui noi oggi intendiamo le identità trans. Eppure le loro testimonianze sono importanti per farci notare il diverso approccio del Giappone a fenomeni come il crossdressing, che veniva visto con un occhio di apprezzamento estetico invece che di stigma. Questo gusto estetico per l’androgino è rimasto nella cultura giapponese: ne è un esempio la stessa Signora Qualcuno di Oltre le onde, così come lә variә protagonistә di shōjo manga, Lady Oscar di Riyoko Ikeda in primis.

Similmente, anche l’omosessualità (maschile) ha una lunga tradizione nella storia giapponese, per quanto «il concetto di ‘omosessuale’ come un diverso tipo di identità sessuale non sia stato evidente» fino a tempi recenti, come sottolinea Mark McLelland. Lo stesso nanshoku, tipo di relazione che nasceva tra i samurai (ma non solo) in epoca Tokugawa, non definiva l’orientamento sessuale (nozione che non esisteva) di chi lo praticava ma veniva visto come un rapporto pari, se non superiore, al joshoku, l’amore tra un uomo e una donna. Sempre in Queer Japan, si descrive la società di epoca Tokugawa come «fallocentrica» e, di conseguenza, patriarcale. Il Giappone antico dunque non era certo il paradiso della queerness (basti pensare che le testimonianze di relazioni tra donne sono praticamente inesistenti), eppure siamo a conoscenza di un intendere la sessualità e il genere in modo diverso da quello occidentale contemporaneo. Tutte queste forme di essere e di relazione verranno soppresse con l’inizio dell’epoca Mēji, attraverso un processo di occidentalizzazione portato avanti dalla stessa classe dirigente giapponese. 

Questo excursus storico ci aiuta a capire che la situazione in cui si trovano le persone LGBTQ+ in Giappone come lә protagonistә di Oltre le onde non deriva da un corso naturale degli eventi storici, ma da un percorso che ha subito influenze ed è stato colonizzato da un pensiero che di autoctono aveva ben poco, che rientrava in un grande piano di riforme con la promessa di guidare la nazione giapponese verso il luminoso progresso occidentale. 

Solo nel Secondo Dopoguerra si cominciò a esplorare la sessualità, e questo diede la possibilità alle minoranze sessuali di potersi liberare da una narrazione patologizzante. Sono quelle omosessuali maschili le forme di socializzazione più riportate in quegli anni, per quanto venissero vissute in maniera privata. Una grande differenza tra la comunità LGBTQ+ occidentale e quella giapponese è infatti il diverso percorso di politicizzazione delle identità: «in Giappone […] dal momento che né il crossdressing né il sesso omosessuale erano illegali, la vigilanza poliziesca e le violenze delle minoranze sessuali, sia maschili che femminili, che hanno dimostrato essere fattori determinanti negli Stati Uniti erano ampiamente assenti». 

In Giappone non c’è stata nessuna Stonewall: questo non vuol dire che non esistessero forme di attivismo, né che non si parlasse di minoranze sessuali, soprattutto attraverso i manga. Negli anni ‘80, proprio quando nascevano associazioni per i diritti LGBTQ+ simili a quelle occidentali come ILGA, un gruppo di mangaka esplorava i temi della sessualità ripescando l’estetica androgina tanto cara alla cultura giapponese classica: sono le artiste del Gruppo 24, mangaka tutte nate nell’anno 24 dell’epoca Showa (quindi 1949). Queste artiste, di cui fa parte la già citata Riyoko Ikeda, rivoluzionarono il mondo dello shojo manga, il manga pensato per ragazze, problematizzando temi quali la sessualità e il genere. Basti pensare a Moto Hagio, maestra del genere e apripista degli yaoi (manga che trattano storie d’amore gay), che nel 1985 racconta una storia dai sapori femministi-fantascentifici con il suo Marginal: in un mondo in cui le donne si sono estinte, dominato da rapporti omosessuali sia di potere che d’affetto, alcuni ragazzi vengono sottoposti a degli esperimenti per poter permettere loro di procreare. Ancora prima che in Europa e negli USA, in Giappone già si parlava non solo di relazioni omosessuali, ma anche di non binarismo di genere, intersessualità o identità trans.  

Per le persone trans una delle più grandi questioni oggigiorno è il proprio riconoscimento: dalla fine degli anni ‘90 è possibile far riconoscere legalmente la propria transizione di genere, tuttavia la legge varata è fortemente restrittiva. Le persone trans vengono patologizzate con la diagnosi di disforia di genere (sei dōitsusei shōgai) e viene loro chiesto di soddisfare alcuni requisiti: avere 20 anni o più, non essere sposate, non avere figli minori di 20 anni. Bisogna poi tenere conto del fatto che si è costrettә alla chirurgia, cosa che non tutte le persone trans vogliono, non solo perché estremamente invasiva, ma anche perché non tuttә vedono la propria identità di genere in un’ottica binaria uomo/donna. L’identità transgender è ancora una realtà abbastanza invisibile in Giappone, e la sua rappresentazione spesso non è efficace perché risente della tradizione che legava transgenderismo e crossdressing al mondo dello spettacolo. A tal proposito, un’ottima narrazione dell’identità trans e non binaria è proprio quella fatta da Kamatani Yūki, che si distacca dai soliti stereotipi del manga così come della narrativa occidentale, dando vita a due personaggi trans* essenziali alla trama di Oltre le onde.  

Le minoranze sessuali hanno storie diverse per ogni cultura, e così anche la loro oppressione. Le radici dell’omolesbobitransafobia in Giappone infatti non affondano nella religione e in una morale sessuofobica, ma nella paura di non essere shakaijin, cioè persone che fanno parte della società seguendo le sue norme: avere un lavoro, sposarsi, avere dei figli. Non formare una famiglia è qualcosa di molto discriminante e lә giapponesi, LGBTQ+ e non, sentono una forte pressione al riguardo. Un fenomeno che esemplifica la situazione è quello dei gisō kekkon, il matrimonio finto, che ha ricevuto attenzione negli anni ‘90 proprio nello stesso periodo in cui la comunità gay emergeva a livello mediatico. Stella stellina di Ekuni Kaori, pubblicato da Atmosphere Libri, parla della relazione tra Shoko, giovane donna disinteressata al matrimonio e Mutsuki, medico omosessuale che ha un amante da diversi anni, i quali decidono di sposarsi per poter rispettare le regole della società.

Per quanto storia e cultura possano essere diverse, questo non significa quindi che le lotte non siano simili: attualmente in Giappone si lotta per legalizzare i matrimoni omosessuali, e negli scorsi anni lә attivistә hanno manifestato per l’approvazione di una legge che protegga le persone LGBTQ+ dalle discriminazioni, proprio come in Italia si dibatteva sul ddl Zan. 

La lotta per una società più giusta ci unisce nonostante le differenze culturali, e dove queste possono sembrare insormontabili, i manga possono esserci d’aiuto.    

BIBLIOGRAFIA

Kamatani Yuhki, Oltre le onde, ed. italiana J-Pop (2018)

Mark McLelland, Queer Japan from the Pacific War to the Internet Age, Rowman & Littlefield Publishers (2005)

Mark McLelland, Male Homosexuality in Modern Japan. Cultural Myths and Social Realities, Curzon Press, Richmond (2000)

Ekuni Kaori, Stella stellina, a cura di P. Scrolavezza, Atmosphere Libri (2014)

NipPop Bologna, NipPop X #PRIDEMONTH2021: Queer Japan, con Marta Fanasca, .https://www.youtube.com/watch?v=stWAjfayM6A

Time, Homophobia Is Not an Asian Value. It’s Time for the East to Reconnect to Its Own Traditions of Tolerance, .https://time.com/5918808/homophobia-homosexuality-lgbt-asian-values/ 

Black & White, Shimanami Tasogare; symbolistic imagery, .https://jhsblackandwhite.com/shimanami-tasogare-symbolistic-imagery/ 

The Guardian, Raze, rebuild, repeat: why Japan knocks down its houses after 30 years, .https://www.theguardian.com/cities/2017/nov/16/japan-reusable-housing-revolution 

LGBTQ NATION, How Japanese homophobia is distinctly different from American homophobia, .https://www.lgbtqnation.com/2020/06/japanese-homophobia-distinctly-different-american-homophobia/ Human Rights Watch, Interview: The Invisible Struggle of Japan’s Transgender Population, .https://www.hrw.org/news/2019/03/19/interview-invisible-struggle-japans-transgender-population