LA CANDELORA TRA STORIA, TRADIZIONE E COSTRUZIONE DEL SÉ
Ogni 2 febbraio gruppi di omosessuali e transessuali, insieme alle paranze dei tammorrari, salgono al santuario di Montevergine per rendere omaggio a Mamma Schiavona, icona che raffigura la Madonna come Theotokos, la madre di Dio. Ogni anno si ripete anche la conflittualità con i monaci, i quali mal sopportano tale presenza, che considerano strumentalizzata per finalità diverse dalla semplice devozione. Ogni anno, quindi, in questa occasione, si rappresenta quel conflitto che da sempre caratterizza il rapporto tra fede cattolica e persone omosessuali e transessuali. Da un lato l’istituzione forte dei documenti ufficiali e dall’altro coloro che non si lasciano escludere dalla comunità dei fedeli.
La fede di omosessuali e transessuali ha eletto Mamma Schiavona a patrona della loro identità, a lei si rivolgono per chiedere aiuto per affrontare l’intervento di riattribuzione del sesso o per la buona riuscita di una relazione. La loro devozione ha origini antiche, esse sono presenti già nel 1611 allorché tra le 400 vittime di un devastante incendio furono trovati molti uomini vestiti da donna e molte donne vestite da uomo. Le cronache coeve non mancarono di attribuire a tali persone la responsabilità dell’ira divina manifestatasi tramite il fuoco, e poco importa se a finire carbonizzati furono anche centinaia di innocenti.
Ma né il fuoco, né l’ostilità dei monaci, né la condanna dottrinale sono riusciti a far desistere omosessuali e transessuali dal loro pellegrinaggio in occasione della festa della Candelora. Ad un’analisi approfondita della loro modalità di esperire la religiosità di fede cattolica, emerge con chiarezza l’offerta di se stessi con la propria identità. A Montevergine omosessuali e transessuali si presentano come gli eredi diretti dei femminielli e fanno proprie le modalità devozionali mariane tipiche della cultura popolare campana. Dopo i tipici riti della scala santa, dei canti devozionali rivolti all’enorme icona lignea, si uniscono nell’esplosione di canti e balli delle varie paranze che occupano il sagrato e gli spazi limitrofi al monastero. Le modalità devozionali, dunque, non differiscono in alcun modo da quelle degli altri fedeli cosicché ad essere considerato scandalo è appunto la loro presenza in qualità di persone liminali nell’identità di genere.
I monaci per alcuni anni hanno alimentato il conflitto, nel 2002 avvenne quella che poi nella narrativa è diventata “la cacciata dei femminielli”, ottenendo esattamente l’effetto di attirare un sempre maggior numero di presenze ed un aumentato interesse su quel particolare patronato attribuito a Mamma Schiavona. Ultimamente hanno quindi scelto un profilo più basso, senza azioni o prese di posizione clamorose. Uno degli effetti della loro radicalità è stato l’aver suscitato una maggiore attenzione anche da parte di quelle associazioni laiche che si occupano dei diritti LGBT. Tanto che proprio in quell’ambito nasce e si sviluppa la “leggenda dei femminielli”, narrazione del mito fondativo del pellegrinaggio, assolutamente suggestiva nella sua totale assenza di fondatezza. Nonostante sia evidente che la leggenda abbia origine nell’immediatezza della “cacciata dei femminielli”, ad oggi, ogni qualvolta i media dedicano spazio alla Candelora, non mancano di citarla a sostegno della legittima presenza dei “femminielli” a Montevergine.
La leggenda racconta infatti che due femminielli vennero condannati a morte, legati nudi in inverno sulla montagna di Montevergine, la Madonna ebbe però pietà di loro e il cielo si aprì per permettere al sole di riscaldare i due giovani. Leggende a parte, la ricerca storica permette di rintracciare in quei luoghi la presenza di San Vitaliano Vescovo di Capua, rifugiatosi lì dopo aver celebrato, a causa di uno scherzo, una messa in abiti femminili. Questo avveniva almeno sei secoli prima della fondazione del monastero e della collocazione della icona lignea di Mamma Schiavona. Dunque, tra storia e leggenda, le istituzioni ecclesiali, sia locali sia vaticane, lotteranno invano: a Montevergine omosessuali e transessuali vanno, sono andati e andranno sempre a rendere omaggio a Mamma Schiavona.
Pubblicato sul numero 24 de La Falla – Aprile 2017
Foto: terredicampania.it, avellinotoday.it
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