di Vincenzo Branà

Per molto tempo ricorderemo questo 2016 per il sangue versato al Pulse di Orlando, in Florida, una delle discoteche più frequentate dalla comunità LGBT+. 49 morti e più di 50 feriti sono il saldo della follia di uomo che, armato fino ai denti, è entrato in quel locale mentre era in corso una festa latina e ha iniziato a sparare. Il racconto di quella notte maledetta è arrivato da questa parte dell’Oceano come una cometa: un bagliore iniziale e poi una flebile scia. Il nostro ricordo perciò risale controcorrente l’invisibilità mediatica in cui è stata relegata, dopo pochissimo, la strage.

Il rischio è che quel ricordo sopravviva sì ma per sommi capi e che non ci resti memoria di tutto l’orrore che quella notte ha portato con sé. Un orrore che suona molto familiare. Abbiamo appreso ad esempio che l’assassino era un frequentatore del Pulse, che era iscritto ad alcune chat gay e che aveva rapporti con persone del suo stesso sesso. Era insomma uno di quelli che un minuto prima ci portiamo a letto e un minuto dopo scopriamo essere apertamente omofobi: ne abbiamo incontrati tanti, ne incontriamo di continuo. Meno noto è il fatto che durante le tre ore in cui il killer ha tenuto i frequentatori della discoteca in ostaggio, ha avuto la premura di controllare sullo smartphone se e come i media stessero dando notizia di quell’attacco.

Un macabro egosurfing simile a quello dei politici nostrani, che pagano uffici di comunicazione affinché le loro mostruosità omofobe raggiungano un’alta visibilità. Anche di questa somiglianza dobbiamo portare memoria. E analogamente dobbiamo stamparci nella mente la notizia di quel padre che non ha voluto prendere in consegna il cadavere del figlio morto in discoteca quella sera, perché omosessuale. Anche questa storia ne ricorda mille altre. Ma soprattutto dovremo assolutamente ricordarci che undici giorni dopo quel massacro il Pulse ha riaperto i battenti e ha messo su gli stessi dischi di salsa e bachata di quella tragica sera: in discoteca sono arrivate migliaia di persone, in maggioranza latinos, proprio come la sera della strage. Ricordiamoci di chi ha avuto la forza di tornare, di chi ha sconfitto la paura: loro non li dobbiamo mai dimenticare.

pubblicato sul numero 17 della Falla – luglio/agosto/settembre 2016