In occasione del Trans Day of Remembrance, per la redazione della Falla Camilla Ranauro (presidente del Cassero LGBTQIA+ Center) ha intervistato Roberta Parigiani, avvocata esperta nella tutela dei diritti della comunità transgender nonché attivista e presidente dell’associazione MIT-Movimento Identità Trans.

Oggi si celebra il TDoR. È una giornata di memoria ma anche di denuncia, in un contesto in cui la violenza verbale e fisica contro le persone trans sembra in aumento. Che significa per te oggi il TDoR? E come pensi si possa trasformare la memoria delle persone scomparse in un impegno politico e sociale concreto?

Da anni il TDoR è vissuto solo come commemorazione, ma questo non basta più. Oggi serve ricostruire una coscienza politica e ridare forza alle reti e alla partecipazione, perché la nostra assenza dalle piazze ha amplificato le voci transfobiche. Il TDoR dovrebbe diventare un motore di elaborazione collettiva e di rilancio politico, non solo un rito simbolico. La memoria delle persone uccise deve tradursi in prospettive e azioni concrete per chi è vivə.

Da avvocata, conosci bene linguaggio e limiti del diritto. Che ruolo pensi dovrebbero avere il diritto e le istituzioni giuridiche nella lotta per il riconoscimento e la tutela delle persone trans e più in generale della comunità LGBTQIA+?

La comunità chiede da vent’anni norme basate sull’autodeterminazione: sul genere, sulle relazioni, sulle famiglie, sulla genitorialità, sull’identità personale. Una riforma della legge 164/82 non basta: serve una riforma dell’intero ordinamento, come ribadito anche dalla Corte Costituzionale per il riconoscimento delle soggettività non binarie. La sinistra non ha saputo costruire visione né consenso, proponendo leggi minime come il decreto Zan. Senza una mobilitazione civica ampia e una ricostruzione delle reti politiche, le nostre richieste resteranno inascoltate.

Negli ultimi tempi la visibilità trans è cresciuta, ma spesso accompagnata da nuove forme di attacco e strumentalizzazione politica. Tu stessa sei stata oggetto di una campagna di transfobia e violenza online dopo un intervento in Parlamento in risposta alle proposte di legge di Rossano Sasso e altri. Come vivi questi attacchi e che fotografia daresti oggi della condizione dei diritti trans?

La visibilità è scelta; l’esposizione invece è subita, e oggi le persone trans vengono esposte con narrazioni distorte che creano polarizzazione. Gli attacchi personalistici mostrano un cambio di strategia: colpire individui per indebolire tutta la comunità. Per anni la politica ci ha resə trasparenti; ora siamo visibili solo attraverso le campagne delle destre, che ci nominano per la prima volta in leggi pensate contro di noi. Non siamo tutelatə né dalla destra né dalla sinistra, che ci ha espostə senza proteggerci.

Di recente è stato approvato (e poi ritirato) l’emendamento che vieta i progetti di educazione sessuale e affettiva nelle scuole medie. Quanto pensi sia importante che la scuola resti uno spazio di educazione ai diritti e al rispetto delle differenze? E cosa rischiamo se togliamo questa possibilità alle nuove generazioni?
Scuole e università sono il primo luogo dove si impara a convivere con persone diverse da sé. Senza strumenti su rispetto, consenso e affettività, si cresce con diffidenza verso ciò che è altro, e si entra nella società impreparatə. Togliere questi percorsi significa privare le nuove generazioni di competenze sociali fondamentali, molto più importanti di materie che non metteremmo mai in discussione. È grave l’idea di lanciare giovani nella società senza gli strumenti per vivere in un mondo plurale.

Guardando al futuro sia del MIT che del movimento trans italiano, quali pensi siano oggi le priorità politiche su cui è fondamentale continuare a lavorare?Dobbiamo uscire dall’esposizione e riprenderci la visibilità, entrando in tutti gli spazi: politici, culturali, mediatici, economici. La società ci percepisce come corpi estranei perché ci ha sempre tenuto fuori, ma siamo moltə più di quanto si racconti: siamo minoranza non per numeri, ma per marginalizzazione. Serve costringere partiti e istituzioni a riconoscerci e darci spazio. Anche nel movimento LGBTQIA+ occorre restituire centralità alle lotte trans e alle persone trans, che storicamente sono state motore di liberazione per tuttə.

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