di Antonia Cassoli
C’è una cosa di cui non ci rendiamo conto: il paragone con cui, noi persone omosessuali, veniamo a volte accomunati agli animali non è un appannaggio dei movimenti di estrema destra, bensì il tacito assenso dell’intero nostro sistema politico.
Può sembrare che il progresso della società ci abbia allontanato molto dalle condizioni di vita dell’Impero romano, eppure non ci rendiamo conto che noi omosessuali siamo considerati come gli schiavi romani, tanto quanto degli animali. Nel Tardo Impero avvenne il passaggio dal matrimonio cum manu a quello sine manu, che si basava non più su unione sessuale e sottomissione femminile, bensì sul consenso, sulla scelta. Ma gli schiavi, in quanto ritenuti privi di qualsiasi volontà, non avevano alcuna libertà di scelta e pertanto non potevano contrarre matrimonio. Peggio: il loro legame era chiamato contubernium, che significa “convivenza” ma si rifà a taberna, termine con cui si indicava il recinto di legno degli animali (oppure il palco del circo – che non è il nostro circo dei giocolieri ma era lo spettacolo con gli animali).
Oggi anche noi gay e lesbiche ci vogliamo sposare. Vogliamo farlo per amore, certo, ma come mai riteniamo così importante che ci venga riconosciuto pubblicamente? Se fosse solo per vivere d’amore sotto lo stesso tetto, possiamo farlo già dal 1890. Allora cos’è esattamente che vogliamo e che renderebbe diversa la nostra unione? È la facoltà, che tutte le persone dovrebbero avere, di non volere più essere individui sciolti, e volere legare la nostra esistenza a un’altra esistenza. In termini astratti, è la libera scelta di non volere essere libere. In termini concreti, sono tutte quelle piccole grandi clausole che regolamentano i rapporti tra due persone, i diritti e i doveri per i quali gli sposi fanno giuramento, e dunque la tutela, da parte dello Stato, di questi diritti e questi doveri.
Una volta appurato che la volontà di sposarsi nasce dall’amore, esistono tutta una serie di comportamenti che universalmente riconosciamo come manifestazioni dell’amore. La condivisione delle gioie e delle difficoltà, l’unione delle forze, la protezione della vita dell’altra persona; allo stato attuale noi trascorriamo anni a sostentarci a vicenda, economicamente ed emotivamente, per poi vederci negare il diritto di beneficiare di quelle tutele che, alla separazione o alla morte dei partner, servono all’individuo per mantenere stabile il suo posto nella società.
Non siamo obbligati a volerle, a sceglierle; ma solo se abbiamo la facoltà di farlo possiamo decidere se farlo o meno. Se io decido di sostenere economicamente la mia compagna per tutti gli anni in cui vogliamo passare la vita assieme, alla mia morte è giusto che qualcuno tuteli questa mia volontà. Se tu credi che una sola persona possa starti vicina nella malattia, se ti fidi a tal punto di lei da volere che sia essa a decidere della tua vita quando ti verrà meno la ragione, perché invece un lontano parente, o peggio, un’istituzione legale, dovrebbe prevaricare sulla tua decisione?
Il matrimonio non è (solo) una questione di amore, diciamocelo. L’amore (inteso come sentimento dalle più varie forme, siano anche l’amicizia o il rispetto) è la base di partenza da cui scegliamo una persona: ma è in tutto ciò che sta intorno a questa scelta, che consiste il matrimonio.
Noi non siamo persone libere: solo quando avremo la possibilità di scegliere, in quanto esseri dotati di volontà, potremo essere libere di scegliere se faccia o meno al caso nostro. Ecco perché tutte e tutti dobbiamo pretenderlo e combattere per ottenerlo, ecco perché la questione non è solo interesse delle coppie, ma di tutte le persone in quanto individui: che il matrimonio sia il vostro obiettivo o no, che vogliate riconoscere ufficialmente l’unione con una sola persona o che preferiate sentirvi individui con relazioni fluide, lo stato attuale delle cose vi rende comunque privati della vostra libertà di individui, vi rende tali e quali agli schiavi romani, considerati privi di volontà e scelta proprio come gli animali.
Pubblicato sul numero 9 de La Falla – novembre 2015, questo articolo costituisce la seconda parte della riflessione di Antonia Cassoli sul matrimonio, cominciata nel numero 8 – ottobre 2015:
The Bride – Di un perché in Italia non abbiamo diritto al matrimonio
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