Al Cassero LGBTI+ center, per salute e benessere intendiamo uno stato di benessere fisico, mentale e sociale. Ci riferiamo in senso ampio allo stare bene, tenendo conto dei vari aspetti che riguardano la persona: benessere psicologico, fisico, sessuale. Il modello di riferimento è quello bio-psico-sociale (BPS), il quale afferma che ogni condizione di salute o di malattia sia la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali/culturali. Questo ci permette di adottare un approccio che rispecchia una visione della persona a 360 gradi, in tutte le sue sfaccettature. Per operare non ci basiamo solo su concetti astratti, ma partiamo dai bisogni delle persone che intercettiamo. Non vogliamo lasciare solə nessunə e lavoriamo per soddisfare i bisogni del sommerso che spesso non ha voce: ad esempio delle persone che praticano il sex work, delle persone migranti o richiedenti asilo senza codice fiscale.

Senza intersezionalità, salute e cura non possono esistere. Con il termine “intersezionalità” indichiamo un approccio teorico, metodologico, di intervento di policy e sociale basato sulla considerazione della molteplicità degli aspetti che compongono le identità, e dei modi in cui questi si intrecciano creando particolari situazioni di svantaggio o di privilegio in un determinato contesto sociale. 

Questi aspetti possono essere l’identità di genere, il colore della pelle, l’origine etnica, l’età, l’appartenenza religiosa, l’orientamento sessuale, la disabilità, lo status familiare, la provenienza territoriale, lo status migratorio, la condizione socio-economica. La prospettiva intersezionale permette di considerare ogni problematica, anche di salute, come un insieme complesso e di tener conto dei diversi livelli e delle diverse caratteristiche di oppressione che non si accumulano tra loro, ma si combinano e intersecano simultaneamente. Queste caratteristiche interagiscono determinando un diverso accesso alle risorse, ai diritti fondamentali, alle opportunità e all’autodeterminazione. Tenere conto dell’intersezionalità ci permette di analizzare la realtà in maniera più complessa e completa, facendo luce sugli angoli ciechi degli approcci categoriali binari ancora esistenti. L’esperienza che può incontrare una donna nera, lesbica e migrante è qualitativamente diversa da quella di una donna etero e bianca: molto probabilmente sarà più complessa e difficile. Questa diversità è il risultato di un insieme di sistemi di disuguaglianza, esclusione e discriminazione che, intrecciandosi, espongono la persona su più fronti. Così spesso queste discriminazioni restano invisibili. E se c’è invisibilità, non c’è tutela.

Come scrisse Kathryn Russell, nel 2007, «una persona reale non è una donna il lunedì, una persona appartenente alla classe lavoratrice il martedì e una donna afrodiscendente migrante il mercoledì». Bisogna quindi dotarsi di uno strumento teorico capace di leggere simultaneamente queste dimensioni. Attualmente le persone che ricorrono al sistema sanitario nazionale vengono prese in carico per un loro singolo aspetto e questo porta a gravissime carenze. Bisogna inoltre riconoscere che ognunə di noi può essere oppressə per più di un motivo (come, ad esempio, il genere, la classe, l’orientamento sessuale), ma si può trovare allo stesso tempo dalla parte del dominio e del privilegio per altre caratteristiche. Se sono una donna cisgenere, bianca e lesbica, vivrò discriminazioni legate al genere e all’orientamento sessuale, ma avrò allo stesso tempo il privilegio della bianchezza e della cisnormatività. Comprendere che il subire delle oppressioni non ci garantisce di non esercitarne altre è un passo importante per dare spazio e visibilità alle persone che sono maggiormente oppresse. Questa prospettiva può esser vista anche come un esercizio di pensiero da applicare nella nostra quotidianità. Riconoscere i nostri privilegi e le nostre oppressioni ci permette di capire meglio il nostro posizionamento all’interno della società e nella relazione con ə altrə, dando margine di manovra ad altre soggettività per creare spazi in cui il nostro privilegio possa diventare una cassa di risonanza per voci che difficilmente vengono ascoltate. Ci può aiutare, inoltre, a leggere le politiche sanitarie con uno sguardo più attento alla complessità, non solo riconoscendo l’impatto che queste possono avere sulle nostre vite e i nostri corpi, ma soprattutto sulle vite di altre persone più oppresse di noi. Pensare alle differenze in termini di rapporti di potere, di privilegi e oppressioni all’interno del sistema sanitario nazionale, ci porta a mettere in discussione l’idea che tuttə siamo uguali e abbiamo le stesse possibilità, perché alcune persone partono da una posizione di svantaggio. Questa visione è fondamentale per comprendere che non basta fornire le stesse risorse a tuttə. Qui sta la differenza tra uguaglianza ed equità, in cui si passa dal considerare tuttə uguali al garantire a tuttə le stesse opportunità, tenendo conto delle differenze e dei privilegi. Quando parliamo di intersezionalità non è quindi per riconoscere un elenco infinito di differenze (genere, classe, “razza”, orientamento sessuale, dis/abilità, età, ecc.); al contrario, utilizzare la prospettiva intersezionale ci permette di riconoscere i rapporti di dominio alla base delle differenze e mettere in pratica azioni personali e collettive per sovvertire tali rapporti, anche nella cura. È solo tenendo insieme la prospettiva e la pratica che tale concetto può essere efficace in ambito sanitario, politico e personale.