OMOEROTISMO E PATRIA AGLI ALBORI DEL NAZISMO

C’erano una volta dei giovani tedeschi che sognavano la natura. Erano giovani maschi protestanti e borghesi, tra i 12 e i 18 anni. Lo scenario è quello di una Berlino primonovecentesca, il cui panorama urbano iniziava a essere delineato da fabbriche. Una Berlino, una Germania, modellata come Stato burocratico e autoritario, poco inclusiva e con altrettante poche possibilità di scalata sociale. A loro, questo mondo, questo modello politico e statale, non andava bene. E non andava bene neanche quello educativo: entrando in un Gymnasium sembrava di andare in caserma e non a scuola. Tutto vecchio. Tutto un po’ troppo militarizzato.

Per la precisione siamo a Steglitz, un quartiere di Berlino. Ed è qui che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, due studenti danno vita a una proposta alternativa, incarnata nel movimento giovanile dei Wandervögel, letteralmente uccelli «migratori». Un ritorno alla natura (rinnegando i mali della modernità), al folklore, a una vita spontanea e anticonformista. Un ritorno alla comunità, come negli scritti contemporanei del sociologo tedesco Ferdinand Tönnies. Il malessere era palpabile e insito tra le classi più abbienti e ambiziose.

I Wandervögel si organizzarono in gruppi, andando alla scoperta della natura, attraverso escursioni e campeggi. Pionieri del naturismo, esaltarono il corpo, in tutte le sue forme. Un corpo sempre maschile, nudo, danzante, riscaldato dal sole. E la scarsa presenza femminile all’interno di essi non fece che accentuarne i tratti omoerotici. Un culto del corpo da cui la Germania era e rimarrà ossessionata: ellenico, statuario, olimpico. Leni Riefenstahl lo celebrerà nel 1938, in occasione delle Olimpiadi di Berlino. Un corpo tanto virile quanto la forza della sua nazione.

Alcuni dei ragazzi del Movimento Giovanile (si diceva così per intendere un po’ tutti i gruppi) una volta diventati uomini riscontrarono delle difficoltà nell’approccio con l’altro sesso, che fosse sessuale o sentimentale. Troppo tempo passato tra uomini della stessa età. L’idea di sessualità non andò mai oltre quella di un ingenuo rapporto con essa. Anche perché il modello di adolescenza propugnata dal gruppo causò un’eccessiva durata della dipendenza genitoriale e dell’esonero dagli obblighi della società; alternativo alle nascenti teorie sull’adolescenza, alla fine plasmò giovani immaturi e anticonformisti.

Ai genitori tutto ciò ovviamente andava bene. Rispetto all’organismo ufficiale della gioventù tedesca erano meno «avanti-march» ma pur sempre «difendiamo la Patria!». Era impensabile a quei tempi non educare un futuro uomo come futuro soldato, non impregnare i suoi principi di una buona dose di nazionalismo. E come in altri casi, il profumo di sovranità nazionale, di rinnovamento spirituale, di «avanti i giovani!» si respirò anche tra i Wandervögel, che alla vigilia della prima guerra mondiale si unirono alla massa di ragazzi europei partiti volontari.

La disfatta fu immediata. Morirono in tantissimi nelle Fiandre, qualche mese dopo. L’effettiva importanza dello scontro all’interno degli equilibri bellici fu nulla, ma la battaglia di Langemarck (avvenuta in realtà in un paesino poco distante ma con un nome meno ariano-virile!) fu subito mito. Celebrazioni accorate, monumenti, propaganda. La destra nazionalista contrappose i valorosi giovani di Langemarck ai nullafacenti socialisti, che invece di andare a combattere avevano scioperato, causando la sconfitta della Germania nel 1918.

Chi sopravvisse si orientò a destra e innegabile fu l’influenza di questa esperienza sui numerosi gruppi protofascisti formatisi negli anni seguenti, sulle Sa (il reparto d’assalto nazista) e sull’organizzazione di massa del tempo libero del regime. Pur professandosi sempre apolitici, mancando il radicalismo e il razzismo all’interno dei Wandervögel, di certo essi ci propongono un punto di vista privilegiato e sconosciuto ai più sulla spinta culturale che portò all’era dei totalitarismi. C’erano una volta dei giovani tedeschi che confusero la libertà con la nazione.

pubblicato sul numero 45 della Falla, maggio 2019