IL MIO OTTO – INFINITO – MARZO
Sono alle scuole medie, sul finire dei Settanta, a Chiavari, una cittadina sul golfo del Tigullio. C’è un luogo dove si riuniscono le femministe. Persino in quel comune catto-conservatore so che esiste un posto dove quel che sento, che non è esattamente solo sorellanza ma è una pulsione lesbica che comincia a svilupparsi nebulosamente in me, può trovare uno spazio di comunicazione. Sono troppo piccola e timida per varcarne la soglia,tuttavia sento già con chiarezza che quel mondo mi appartiene. Leggo tutto quel che riguarda le battaglie politiche del femminismo, appena posso, su Repubblica, il giornale che esiste da poco, molto aperto ai movimenti nella sua prima fase. Leggo L’Uno, il supplemento culturale di Linus, dove trovo persino una stroncatura di In volo di Kate Millett fatta dal direttore Oreste Del Buono, per il quale la vita bisessuale di questa femminista è criticabile con la scusa di quello che per lui è kitsch narrativo. Me lo procurerò solo a vent’anni il testo, leggendolo e rileggendolo più volte, come uno splendido romanzo d’amore, d’impegno e di avventura nella New York degli anni Settanta.
Otto marzo. Un numero che va verso l’infinito. Forse la mimosa è solo un bel fiore giallo, precoce ed effimero, dal profumo a volte stordente? No. Forse questo accadeva a fine anni Ottanta, in certe feste in pizzeria fra ragazze che avevano il giorno libero dal loro asservimento etero- patriarcale e ne approfittavano per festeggiare un giorno libero da una vita, se non angosciante o tormentata dalle violenze, quantomeno limitata da ruoli schematici e imprigionanti, viziati dalla retorica dell’amore e del materno.
Fossero vere o no le mie sensazioni, il mio femminismo si sviluppò insieme alla dimensione lesbica e, più tardi, a quella queer. Costellazioni che mi sembrano vicine. Doni epistemologici per una riconfigurazione del mondo, forse per la sua salvezza.
Adesso, nel 2019, il mio otto – infinito – marzo lo penso anche afrofuturista, non solo bianco come nel Novecento, vedo i percorsi fatti con intensità, percepisco linee di forza e anche debolezze. Ora come allora, vorrei che la parola lesbica fosse nominata nel percorso di questo viaggio che non presentiamo breve, non utilizzata solo come testimonianza di un endorsement anti-gpa o trans, ma nemmeno nascosta come veteropolvere sotto il tappeto di fluidità generiche, che poco dicono dei nostri vissuti. La mimosa può essere pervasiva, non deve diventare soffocante. Buon Otto.
Perseguitaci