L’11 MARZO IL PARLAMENTO EUROPEO HA VOTATO UNA RISOLUZIONE IN RISPOSTA ALL’ARRETRAMENTO DEI DIRITTI IN PAESI COME POLONIA E UNGHERIA

Il Parlamento Europeo, nella seduta dell’11 marzo 2021, ha approvato una risoluzione che dichiara l’Unione Europea «zona di libertà LGBTIQ» in risposta alle oltre 100 zone «libere dall’ideologia LGBTIQ», istituite in Polonia, a partire da marzo 2019, da amministrazioni locali, con l’appoggio del governo centrale. Si tratta di leggi in difesa della cosiddetta famiglia tradizionale, che impediscono le iniziative a supporto delle persone LGBTQIAP+, con un veto che va dai pride alle manifestazioni pubbliche, fino all’indossare o esporre stickers con loghi e bandiere identificabili. 

Dopo alcune iniziative indipendenti messe in atto da singoli stati Ue, come ad esempio l’annullamento di gemellaggi cittadini, ha generato particolare scalpore il tentativo di Clément Beaune, Segretario di Stato per gli Affari Europei del Governo francese e dichiaratamente gay, di visitare proprio uno di quei comuni durante una visita diplomatica in Polonia: l’ingresso gli è stato vietato col pretesto della situazione pandemica. Argomentazione decisamente sospetta. Il Segretario di Stato non ha taciuto sull’accaduto, rilasciando diverse interviste, e generando una sorta di effetto domino che ha visto come ultimo risultato la proposta di risoluzione dell’11 marzo 2021 con 492 voti favorevoli, 141 contrari e 46 astenuti. 

Secondo i dati Ilga-Europe la Polonia si pone al primo posto tra i paesi per discriminazioni nei confronti delle persone LGBTQIAP+, e la gravità della situazione polacca s’innesta all’interno di una crisi nazionale che ha visto il governo usare la comunità come capro espiatorio. Fermo restando che secondo quegli stessi dati la situazione non è rosea neppure in Italia, Paese che scivola da anni sempre più in basso in quella graduatoria, mancando di fatto tutta una serie di tutele che sono invece presenti in buona parte degli altri stati Ue. Per dirne una, l’Italia non ha una legge contro l’omolesbobitransfobia.

Il Governo polacco è al momento controllato dal partito Diritto e Giustizia (Pis, Prawo i Sprawiedliwość), che ha espresso sia il Presidente della Repubblica Duda che il Presidente del consiglio dei ministri Morawiecki. Il Pis è un partito politico di destra di ispirazione conservatrice e clericale, fondato da Kaczyński nel 2001, che posiziona in questo modo la Polonia anche in Europa nel Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (espressione dell’omonimo partito al momento guidato da Giorgia Meloni). Non sorprendono, di conseguenza, le posizioni assunte nel corso del tempo nei confronti della comunità LGBTQIAP+, posizioni che trovano terreno fertile in un’opinione pubblica radicalizzata su temi quali la sessualità e l’espressione di identità non conformi. Basti pensare alla recente proposta di legge chiamata «Stop pedofilia» che prevede il divieto di educazione sessuale nelle scuole fino ai 18 anni, o alla tanto discussa legge anti aborto. 

Esternazioni d’odio per le soggettività marginalizzate non sono rare da parte degli esponenti del governo polacco: a settembre 2020 il mediatore dei rapporti col parlamento, Mikołaj Pawlak, ha dichiarato che alcune organizzazioni non governative «hanno preso di mira i minori in condizioni di instabilità e abbandonati e hanno somministrato loro sostanze farmacologiche per cambiare sesso»; mentre l’attuale Ministro dell’educazione, Przemyslaw Czarnek, ha rivendicato la necessità di difendere la famiglia tradizionale dall’anormalità delle persone LGBTQIAP+. Ambedue queste dichiarazioni sono divenute oggetto di un’interrogazione del Parlamento Europeo per incitamento all’odio.

I partiti d’opposizione e le rappresentanze della società civile hanno organizzato molte proteste dalla fine del 2020 a oggi, con episodi eclatanti come l’occupazione della cattedrale di Poznań il 25 ottobre 2020, e l’esposizione di una bandiera arcobaleno, il 16 novembre 2020, in 50 importanti città amministrate dall’opposizione. 

La risoluzione votata l’11 marzo fa seguito al riconoscimento costante della fondamentale importanza dei diritti delle persone LGBTQIAP+, e a una serie di interrogazioni parlamentari sulla situazione in Polonia come in Ungheria. Fa ben sperare leggere nel testo una serie di considerazioni preliminari che sanciscono, nero su bianco, una presa di posizione forte e inderogabile. Rimane tuttavia da verificare quale sarà l’efficacia di questa risoluzione nei territori dell’Ue in cui quei diritti ritenuti fondamentali vengono sistematicamente violati, e non da oggi. Il rischio è che tutto questo possa rimanere lettera morta. 

Non sorprende che la votazione abbia trovato una nutrita resistenza, in particolare nei partiti maggiormente conservatori dell’Unione Europea, né che le argomentazioni utilizzate rasentassero il ridicolo: si sono lette espressioni come «strumentalizzazione politica dei diritti» o «le leggi di cui si parla sono competenza degli stati membri e non del parlamento centrale». Ciò che è però opportuno far notare è che, dopo la Polonia, l’Italia si è confermata come il Paese con il maggior numero di rappresentati nel Parlamento Europeo ad aver votato contro: compagine di Fratelli d’Italia e Lega in testa. 

Non resta che aspettare di vedere come verrà messa in pratica questa risoluzione, nella speranza che si riesca, una volta per tutte, a rispondere all’emergenza di discriminazione e omolesbobitransfobia crescente in larga parte dell’Ue.