Ad aprire l’ultima giornata di proiezioni targate Gender Bender, una pellicola di Kerstin Karlhuber del 2016, Fair Haven, che ci porta a scoprire le vicende di un giovane omosessuale nel difficile rapporto con sé stesso, il padre e la società.

Pianoforte, scena prima, un ragazzo in treno, assorto, la mano alla fronte, sullo sfondo foreste che scorrono. Archi, scena seconda, il giovane James esce da una squallida stazione di provincia e sale in macchina col padre. Neanche un saluto, forse un invisibile cenno del capo, li ricongiunge. A rompere poi il ghiaccio del silenzio è il figlio “sto meglio ora, penso mi abbiano aiutato”. Non dovremo aspettare troppo tempo per scoprire che il ragazzo era stato spedito in un centro di predicatori mascherati da psicoterapeuti al fine di correggere le sue tragiche ed imbarazzanti devianze. A dispetto di quel che ci si potrebbe aspettare però, memori anche di altre pellicole sull’argomento, la terapia riparativa per l’omosessualità cui assistiamo in vari flashback, si classifica come un’opera di convincimento che a tratti ricorda le dinamiche di un gruppo di alcolisti anonimi. Lontani, insomma, dalle vasche ghiacciate e le terapie mediche di quel centro di recupero per omosessuali mormoni che ci viene mostrato in Latter Days (che nulla aveva da invidiare al Briarcliff di suor Jude in Asylum), qui si assiste a una manipolazione più subdola da parte del carismatico e baffuto terapeuta armato di Bibbia. Senza dubbio il diciannovenne James, che non sappiamo quanto tempo abbia trascorso lì, ne emerge cambiato. Vuole metter su famiglia (terapia riuscita!) e dedicarsi alla sola cosa di cui gli è sempre importato: la musica. Ovviamente nulla di più difficile.

Il padre presto lo informa che non potrà frequentare la prestigiosa accademia musicale di Boston cui era stato ammesso e che preferirebbe vederlo iscritto ad una facoltà di agro-economia, così che un giorno possa occuparsi della fattoria che era di suo nonno, nonché del nonno del padre (che forse “lo ha vinto all’amico giocando a Mahjong”). Inchiodato ad una vita che non sente come propria l’ormai rassegnato giovane accetta la situazione dando sfogo solo in poche scene alla sua frustrazione suonando a tarda ora i Notturni di Chopin. A scandire i tempi del film sono scene bucoliche e di vita agreste coronate da archi e fiati che fanno da cornice ad ogni scena il cui nucleo solitamente è un dialogo stentato che cerca di ricalibrare lo spettatore sulla drammaticità della situazione. In effetti, in più di un’occasione la regista spinge l’acceleratore sul sentimentalismo. A fungere da agente disturbante della vita stroncata di James è ovviamente il suo ex ragazzo, ancora innamorato di lui, che mette a dura prova la rinnovata rettitudine del protagonista. Il conflitto col padre anaffettivo, che si rifiuta di vendere la fattoria malgrado abbia ricevuto un’offerta da capogiro, si svilupperà a piccoli passi fino ad esplodere anche se, forse, il finale non sarà così scontato.

Uno degli aspetti più interessanti del film, più ancora delle dinamiche legate all’omosessualità non accettata, è l’elaborazione del peso delle aspettative castranti che vengono riposte sui figli, spinti spesso in una direzione che non si addice loro. Sarà una sorridente barista a ricordare al padre che da giovane voleva scappare per arruolarsi nei Marines, in barba a ciò che la famiglia voleva da lui, gettandolo forzatamente in una riflessione sul suo operato. Abbastanza banale, la sceneggiatura non ci risparmia tutto ciò che ci aspetteremmo, donandoci però alcune scene abbastanza dolci da rendere la pellicola, se non altro, piacevole.

 

Per saperne di più

Trailer ufficiale del film

Il sito ufficiale di Gender Bender