Viola è il romanzo di esordio di Marina Cuollo, già autrice di A Disabilandia si tromba e di uno dei contributi presenti in Anche questo è femminismo.
Grazie a una scrittura molto scorrevole e semplice, leggere della vita di Viola è una boccata d’aria fresca in mezzo a un oceano letterario che sembra non azzardare il coraggio di onde impreviste. Viola è una biologa, chiusa in un laboratorio in cui sembra non avere grandi soddisfazioni professionali: un professore del laboratorio che non le dà abbastanza fiducia, un collega, Saro, con cui spesso litiga, una migliore amica, Federica, con cui ha un rapporto prevedibile, dei genitori abbastanza invadenti da essere fastidiosi, un fratello immaturo e una cotta per Marco, ricambiata, con le solite paranoie iniziali di un rapporto amoroso. Fin qui, anche la sua può sembrare una storia come le altre, di quelle sentite fino alla nausea, noiose e scontate.

Ma Viola, a differenza della quasi totalità dellə protagonistə della letteratura italiana, è una donna con una disabilità motoria che usa una carrozzina. Con questo dettaglio la vita di Viola assume caratteri interessanti per noi lettorə; non tanto per il dettaglio in sé, ma per ciò che esso comporta all’interno di una narrazione. Cosa significa lavorare in un laboratorio il cui direttore non crede abbastanza in lei? Cosa vuol dire andare a lavoro consumata dall’ansia perché non può sapere quando verrà trattata come le altre persone e quando verrà trattata diversamente? E cosa succede se i suoi stessi genitori non si capacitano del fatto che lei possa essere attraente per qualcunə o che possa avere una vita sessuale? Dopotutto, quante volte vi è capitato di leggere di una scena di sesso in cui una delle persone coinvolte fosse una persona con una disabilità motoria?

Se ci addentriamo nell’immaginario collettivo, le rappresentazioni sociali delle persone con disabilità presentano alcuni elementi costanti: sono viste come eternə fanciullə, persone sempre buone e gentili con vite però piene di sofferenza, oppure acide con il mondo a causa della loro disabilità e, in ogni caso, senza alcuna sessualità. In definitiva, un immaginario che tende a cancellare ogni singolarità e individualità. A questo si aggiunge l’abilismo, perpetrato non solo da persone abili e neurotipiche – come si renderà conto la stessa protagonista nel corso del romanzo – ma anche da quelle con disabilità, le quali, vivendo in una società neurocentrica, interiorizzano una serie di atteggiamenti, pensieri e comportamenti tipici dell’abilismo, influenzando lo sguardo su di sé e sulle proprie relazioni.

Viola oltre che disabile è anche donna e la lente del genere permette di aggiungere un altro livello di complessità e discriminazioni oltre alle discriminazioni abiliste. Ma soprattutto permette di evidenziare come il patriarcato sia ciecamente inclusivo: le donne, tutte, sono soggette ai medesimi processi di controllo psico-sociale, in maniera più o meno velata, a prescindere dalla disabilità: «È una cosa difficile da confessare, persino alla mia immagine nello specchio, ma pensavo davvero che l’amore mi avrebbe salvato, che avere una relazione stabile avrebbe fatto di me una vera donna. […], che poi è un cazzo di controsenso, perché io sola nel senso letterale del termine non lo sono mai stata», dice Viola a sé stessa.In conclusione, il romanzo di Cuollo è uno sposta-confini: non tanto per la cifra stilistica, né per la struttura, ma perché in esso vi è narrata una vita di cui non si racconta mai. Uno specchio per tutte quelle persone che non si rivedono nella maggior parte dei libri scritti in italiano. Un modo per riprendersi spazi di visibilità mai concessi. E sembra che Cuollo dica proprio questo: tieni, non ti vedi mai da nessuna parte, questo libro è per te.

Immagine in evidenza: disabilinews.com