Diritti inattesi di un secolo fa

Art. 2 “La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta […]. Essa conferma perciò la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione […]”.

Art. 5 “La Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, l’istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia […]”.

Nell’autunno del 1920, a Fiume, si va componendo una Costituzione senza precedenti nella storia d’Europa: suffragio universale (in Italia bisognerà aspettare il 1948); divorzio (in Italia 1970); parità di salario maschile e femminile; particolare attenzione ai diritti civili e amore libero. I prodromi di questo avanguardismo sono squisitamente storici.

Nel gennaio del 1919, alla conferenza di Parigi, le super potenze vincitrici del primo conflitto mondiale negano all’Italia l’annessione della città. Il governo italiano, presieduto da Nitti, non oppone resistenza. Questa è la proverbiale ultima goccia per Gabriele D’Annunzio che, contattato da alcuni ufficiali granatieri cacciati da Fiume, decide di abbracciarne la causa. Il 12 settembre dello stesso anno il Vate occupa la città, con tanto di acclamazione popolare, e la rivendica come suolo italiano. È un momento di grande fermento politico. Nitti non avalla l’impresa, per non tradire le intese raggiunte. Mussolini inizialmente appoggia l’occupazione ma ne prende poi le distanze per non incrinare rapporti politici interni al paese e, probabilmente, per la reciproca diffidenza che lo lega a D’Annunzio, il quale risponde ai tentennamenti del futuro Duce accusandolo di vigliaccheria.

È la svolta: come segretario del neonato governo di Fiume viene scelto Alceste De Ambris, l’esponente più significativo del sindacalismo rivoluzionario, nonché penna di quella che diventerà celebre come Costituzione del Carnaro. Questa nuova repubblica indipendente finisce per diventare un ricettacolo di artisti, intellettuali, socialisti e rivoluzionari: Guglielmo Marconi, per esempio, inizialmente inviato dal governo italiano per parlamentare con il Vate, finisce per apprezzare l’esperienza al punto da diffondere un messaggio radiofonico per il riconoscimento di Fiume. In questo periodo lo stesso Gramsci tenta di contattare D’Annunzio per proporre il tentativo di lanciare una rivoluzione su scala nazionale, ma non riceve mai risposta.

Un’esplosione di estrema vitalità, fatta di orge e feste per le strade della città, un fermento che sembra liquidare l’appiattimento di questa vicenda storica come semplice prodromo dell’imminente deriva fascista. Il 24 dicembre 1920, il neonato governo Giolitti assedia la città e affoga nel sangue l’esperienza fiumana, appoggiato con forza da Mussolini stesso, azione per la quale mai verrà perdonato dal Vate. Della rivoluzione sociale rimarrà ben poco, ma lunga vita avranno le retoriche e l’estetica qui create da D’Annunzio, riprese poi dal Duce nella sola ottica di un nazionalismo conformista che conosciamo come la pagina più oscura della storia italiana. 

pubblicato sul numero 38 della Falla – ottobre 2018