CON E OLTRE L’ABORTO

La legge 194, che norma l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia, è del 1978. Sono passati 42 anni, eppure l’accesso all’Ivg non è per niente facile né scontato in questo Paese. A fasi alterne assistiamo a veti regionali, fenomeni mediatici e iniziative fondamentaliste, proprio a causa della viscosità della legge stessa, a partire dal suo nome. 

La legge che norma l’aborto in Italia non è una legge sull’aborto, ma una legge per la tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza

Non è necessario passare al setaccio la legge per scoprire che in essa diritto all’aborto e all’obiezione di coscienza stanno su un pari livello. Sappiamo bene che i medici obiettori sono oltre il 70%. Ci sono zone del Sud Italia dove queste cifre aumentano vertiginosamente e la stessa obiezione, più che scelta etico-religiosa, diviene trampolino di lancio per la carriera medica nella sanità pubblica. Scrivere una legge che contempla il diritto all’aborto e il diritto all’obiezione di coscienza (quindi il diritto a non praticarlo) è uno specchio dei tempi in cui è stata pensata,  ma anche un comodo espediente per indirizzi politici non così diversi da quelli di Paesi dove l’aborto è tuttora reato. Pensiamo all’Argentina, dove Nudm ha intrapreso una massiccia e gioiosa agitazione che ha spinto il governo verso una depenalizzazione dell’Ivg nel marzo scorso, poi rallentata dalle misure di lockdown. L’aborto costituisce ancora una delle prese nevralgiche del potere dello stato e di alcune parti politiche  per le quali sessualità e salute riproduttiva sono campi in cui esiste margine d’azione normante.

Fermiamoci un attimo. Siamo nell’autunno 2020, la pandemia imperversa a livello globale. In Italia, nel momento in cui scrivo, sta per essere emanato un nuovo Dcpm. I giornali  narrano compulsivamente la crisi sanitaria ormai da mesi. 

Eppure l’aborto, anche nella furia pandemica, resta un trending topic polemico. È dell’agosto 2020 la notizia che l’Ivg farmacologica verrà garantita in day hospital fino alla nona settimana. Non abbiamo fatto in tempo a festeggiare che il 2 ottobre, il Piemonte – grazie all’autonomia regionale del nostro SSN – ha emanato una circolare restrittiva: assunzione di RU486 (la pillola abortiva) solo previo ricovero e scelta del medico. Per l’ennesima volta a decidere non è la donna. Sempre a ottobre, grazie alla testimonianza di una donna, scopriamo l’esistenza di un cimitero di feti abortiti.

Orribili iniziative simili esistono un po’ dovunque in Italia, con la complicità  di alcune amministrazioni comunali e dei partiti di destra. Ma stavolta c’è una violenza in più: sulle croci bianche, senza alcun consenso, compare il nome delle donne che hanno abortito (Nb: non madri, una madre è per scelta). 

Le insidie della legge italiana si palesano tutte nel processo storico che ha portato alla sua formulazione, in siamo a tutt’oggi parzialmente immerse, e in una linea politica salda sulla scia della quale ha preso forma. 

Questa linea si fonda su tre nuclei ingiuntivi, operativi anche nel 2020. C’è l’ingiunzione normativa, vedi “è lo stato che decide”; quella biopolitica, leggi “il controllo è incarnato, dentro al corpo della donna si esercita il potere”; infine la più ovvia, l’ingiunzione riproduttiva, della famiglia nucleare ed eterosessuale, chiaramente. Tutti e tre concedono l’Ivg a certe condizioni, non la garantiscono. 

Non a caso questa legge tutela la maternità, non l’autodeterminazione della donna, non l’accesso gratuito e sicuro all’aborto. Queste, che tecnicamente chiamano ingiunzioni, sono scelte mirate, figlie di processi politici che nascono nell’alveo dell’agone politico degli anni ‘70. 

I due poli opposti erano quello fondamentalista-cattolico e la richiesta di depenalizzazione e autonomia rispetto alla scelta abortiva, avanzata a gran voce dai gruppi femministi radicali. 

L’universo mediano era il campo di battaglia: il suo esito è stato il controllo dell’aborto e della vita riproduttiva e sessuale delle donne da parte dello stato e dei medici, sancito dalla 194. Hanno giocato un ruolo cruciale la composizione parlamentare dell’epoca, le mediazioni partitiche, i primi giochi di equilibrismo del compromesso storico. 

È la sua natura compromissoria che ha reso la legge sull’aborto un dispositivo pericoloso per la salute sessuale della donna e la sua autodeterminazione. 

La legge 194 ignora buona parte delle richieste provenienti dalle piazze e dai processi politici maturati nei gruppi di autocoscienza sulla salute sessuale o nelle alleanze femministe che avevano capito che l’utero poteva essere qualcosa di più e oltre il mero organo riproduttivo. 

Ricordiamo il processo Pierobon nel 1973. Gigliola era una ragazza giovanissima, aveva abortito clandestinamente, soffrendo di una grave infezione senza poter ricorrere a cure sanitarie: fu processata davanti alla nazione.

La 194 non era ancora legge: a lei l’aborto non è costato soltanto un processo penale, ma anche un violento esercizio di controllo della vita sessuale, delle scelte riproduttive e persino un’osservazione della materia incarnata che compone la sua vagina. Alcune delle domande poste a Gigliola furono: «come erano rivolti i tuoi genitali?», «cosa ti hanno infilato?» o «come ti hanno toccata [per praticare l’aborto]?». 

Ma anche dopo l’introduzione della normativa, la storia dell’Ivg è sempre stata una storia di coercizioni. Un’altalena in fondo necessaria per giocare partite di potere che riguardano le vite di tutte noi, nonché le forme di vita che vorremmo sceglierci e che ci sono parzialmente precluse. Soprattutto quelle che esulano dalla norma, come quelle che invece di riprodurre la nazione scelgono alleanze trasversali, forme di amore dissidenti, reciproche o magari semplicemente non binarie. Se il binarismo ha tanto a lungo esercitato micro e macro violenze, la scelta riproduttiva libera e autodeterminata diviene uno dei primi campi minati verso la sua dissoluzione. Anche se qualche iniziativa sembra andare nella direzione giusta  e qualche roccaforte di residui fondamentalisti in giro per il mondo sta cedendo – penso all’abrogazione dell’VIII emendamento in Irlanda, ai passi avanti ottenuti dal movimento dei pañuelos verdes in Argentina o alla recentissima introduzione della possibilità di acquistare la pillola dei 5 giorni dopo senza obbligo di ricetta per le minorenni in Italia – è il caso di tenere alta la guardia.

Insieme a esempi virtuosi come il Canada (dove l’aborto è libero e gratuito, non consta di nessuna restrizione legale, avviene per sola scelta della donna), sul tema della scelta riproduttiva ci sono le nuove frontiere tecnologiche, come l’ectogenesi, tutte da esplorare. Resta da chiedersi che forma assumeranno e chi (e per chi!) le progetterà. 

Nel frattempo ci sono sempre le pratiche di mutuo affetto, sostegno, organizzazione e profondo radicamento politico da tenere salde (pensiamo a esperimenti virtuosi come Obiezione Respinta!). Però non vogliamo vivere  solo un’epica di azioni eroiche, vittorie, concessioni: vogliamo agire e vivere in un mondo-spazio aperto alle possibilità. Poter scegliere sempre. In un mondo con e oltre l’aborto.

Pubblicato  sul numero 59 della Falla, novembre 2020

Immagine di copertina da time.com, immagine nel testo da contattolab.it, da radiobruno.it e da avantionline.it