di Mizia
Fuori dai coglioni. E Laura, il nome di fantasia della ragazza che lavora(va) a Rimini “in un negozio di abbigliamento che ha sede legale a Bologna e fa parte di un importante marchio americano”, ha un problema con due ordini di coglioni.
Il primo è strettamente personale. Le palle, che legge vigente sarebbero il discrimine della nostra – noi persone T* MtF – identificazione di genere, non si vedono. Al di là delle diverse sensibilità personali, le palle, se non intendi sottoporti a RCS (riattribuzione chirurgica del sesso), si possono nascondere, contenere e controllare insieme a quel coso. Io, per esempio, al momento mi trovo benissimo con i push up Calzedonia. Non ho nemmeno più bisogno di maglie lunghe per coprire l’effetto Roberto Bolle.
Le tette si vedono. Invece. Come la barba, che puoi radere, epilare, scolorire, lasciare volontariamente perché ti piaci così, senza timore di stigma grazie a santa Conchita oppure lasciare per forza, anzi far crescere perché la moral suasion che subisci, il processo lo accerterà, è quella e quel lavoro, invece, è una delle espressioni della tua dignità di persona.
Le tette si vedono, anche se ti vesti da uomo come Raffaella Carrà, e poterle vivere serenamente, non dico esporle o spiattellarle in faccia, solo viverle nella completezza di quello che senti di essere, per molte di noi – noi persone T* MtF, ma ovvio non per tutte – è una botta inestimabile per la tua qualità di vita. Anche più di una vagina per scopare “secondo natura”, Gender permettendo.
Quando saltelli scendendo le scale e senti quella parte di corpo che si muove con te, spesso sei la persona più felice della terra e quando stai bene, in genere, metti in circolo questo benessere, questa qualità di vita. Forse anche sul posto di lavoro.
E sì che da almeno dieci anni si parla di gestione della diversità, ormai una di quelle buone pratiche aziendali che tanto spesso fanno fine senza impegnare ma che, comunque, esistono e le scuole di management lo sanno. SDA Bocconi butterebbe soldi in un Diversity Management Lab se non ci credesse, oltre che come opportunità di business?
E poi, fuori dai denti cazzo, andiamo di moda. Tutti ci cercano e tutti ci vogliono, siamo trendy. Presenza diffusa, potrebbe sembrare quasi istituzionale, nel settore del fashion, invasione Tgender nei reality.
Il Giobaz del Bomba prevede il rimansionamento. Proponendoti, addirittura, qualche soldo in meno avrebbero potuto nasconderti in uno sgabuzzino, rimansionarti in un back office qualsiasi, a rispondere al telefono, a pulire i cessi, qualsiasi mansione “riconducibile” alla precedente. L’Università di California dice che “ignoring diversity issues costs time, money and efficiency”: avrebbero potuto addurla come giusta causa per ribaltare su di te il costo del diversity management, addebitarti il costo della gestione della tua posizione nei sistemi informativi aziendali, il costo di un nuovo badge, il costo della formazione dei tuoi colleghi e delle tue colleghe sul valore dell’inclusività, della diversità e della non discriminazione. Toh, potrebbe essere il prossimo intervento di sinistra in tema di diritti dei lavoratori.
“Non ci penso nemmeno a giudicare come ti vesti ma, te lo devo dire, ci hanno cacciato dal terzo piano per colpa del tuo abbigliamento”. Me lo diceva cinque anni fa il mio ex capo. Ero solo in total black, t-shirt Joy Division. Nessuno mi ha detto più niente. Anelli, collane e bracciali sono sempre gli stessi. Leggings, smalto e infracigliare quando e se voglio. Io sono sempre la stessa, anche se le tette non si vedono. Per il momento.
Il secondo ordine di coglioni: quelli che ci circondano.
pubblicato sul numero 9 della falla – novembre 2015
immagine realizzata da Bruma e Miele
Perseguitaci