Giovani, sesso, chat e HIV: ecco le parole chiave di molti articoli apparsi sui quotidiani italiani dopo la pubblicazione dei dati del Centro Operativo AIDS sul notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità lo scorso novembre. In questo notiziario si osserva che l’84,1% delle diagnosi di HIV accertate nel 2014 è attribuibile a rapporti non protetti e c’è un picco di trasmissione del virus nella fascia d’età tra i 25 e i 29 anni.
Il binomio “chat-per-incontri/HIV” all’estero è una tematica da tempo discussa, mentre in Italia se ne parla ancora poco, spesso in termini vaghi e con molto pudore.
Ma tra i frequentatori delle chat come sono percepiti il virus HIV e i metodi di prevenzione?
A fronte di molti utenti che dichiarano di praticare solo sesso sicuro c’è anche una zona grigia, un consistente numero di persone dalle quali la questione safer sex non è considerata, per disinteresse o negligenza. Un possibile motivo per questa incuranza può essere la distanza determinata dall’uso di uno strumento di comunicazione virtuale: dietro lo schermo del nostro computer o smartphone ci sentiamo “protetti”, lontani da possibili “contagi”, insomma non sentiamo di correre rischi. L’incontro nel mondo virtuale porta poi a idealizzare l’altro, con il quale spesso comunichiamo come se fosse la proiezione dei nostri desideri, l’immagine precisa costruita dalla nostra mente sulla base di aspettative, sogni, fantasie erotiche e amorose. Persi nella contemplazione di un tanto perfetto ideale è ben difficile contemplare invece la possibilità di contrarre un’infezione. Tutto ci passa per la testa in quel momento tranne usare la parola preservativo! Insomma, può succedere che di fronte alla dicitura “sesso sicuro” ritroviamo una reazione di perplessità, sintomo di una bassa percezione del rischio.
Proprio la “protezione” offerta dal virtuale, d’altro canto, può far sì che una persona sieropositiva si senta molto più libera di dichiarare il proprio stato sierologico in chat, piuttosto che negli incontri di persona. Nickname, assenza di foto o immagini parziali e/o censurate del volto o del corpo per non rivelare l’identità, dati vaghi od omessi: sono tutti strumenti (o sarebbe meglio dire stratagemmi?) coi quali è più facile dichiararsi. Questo è sintomo probabilmente di una forte discriminazione percepita: un meccanismo che porta a non sentirsi a proprio agio nel dichiarare la sieropositività nella vita quotidiana e che invece viene pressoché annullato dietro l’anonimato di un profilo virtuale. È chiaro che in questi casi non siamo di fronte ad una piena accettazione di sé in quanto persona che vive con HIV, né di una disclosure consapevole e meditata, quanto piuttosto ad una sorta di “compensazione”, spesso motivata dalla necessità di trovare simili con cui confrontarsi, ma a volte anche dalla ricerca di sesso bareback (sesso senza precauzioni). Sarebbe auspicabile, da un lato minor discriminazione e maggior tatto allorché ci si trovi di fronte a persone che vivono con HIV, dall’altro che l’uso di condom e lubrificante come strumenti di prevenzione fosse una consuetudine ben radicata, in modo da rendere superflua la disclosure nell’ottica del sesso occasionale.
È bene poi ricordare quanto, anche sulle chat per incontri, siano presenti fenomeni di forte discriminazione nei confronti delle persone con HIV. La velocità della comunicazione e la “protezione dietro lo schermo” possono favorire una crudezza, nei modi e negli atteggiamenti, che rivela scarsa consapevolezza e mancanza di rispetto. Dovrebbe essere ben chiaro che il semplice chattare e incontrare una persona sieropositiva non comporta di per sé alcun rischio per la propria salute.
I siti per incontri possono essere poi, proprio perché molto frequentati, una opportunità preziosa per offrire informazione sulla salute che raggiunga direttamente anche quel target di persone difficilmente raggiungibile altrimenti. Molte chat promuovono attivamente il safer sex e alcune hanno una pagina dedicata alle informazioni base, nei migliori casi ci sono operatori online che rispondono a domande inerenti l’HIV e le altre IST. Vanno ricordate anche le associazioni LGBT+ che hanno un loro profilo su alcuni social per incontri, a cui gli utenti possono rivolgersi per avere informazioni sulle pratiche a rischio e sulle modalità di prevenzione, fornendo un vero e proprio servizio di counselling adeguato alle nuove tecnologie.
pubblicato sul numero 11 della Falla – gennaio 2016
Perseguitaci