Note sparse (ma non troppo) sulle elezioni politiche Spagnole

di Paola Guazzo

1. Orwell, e non per citare il tristo e italianissimo 1984, ma per un incontenibile, innamorato Omaggio alla Catalogna. Nella regione che vuol farsi nazione vince per la prima volta un indipendentismo di sinistra e non neoliberista. Non tutte le istanze indipendentiste si declinano su una malattia senile dell’imperialismo in versione locale: Esquerra Repubblicana Catalana è un partito indipendentista da brivido storico. Narra infatti la storia del Novecento – facts checked di un certo peso e bugiardi revisionisti blastati – che un esponente di Erc, Lluis Companys, divenne presidente della Generalitat di Catalunya nel 1936, anno in cui cominciò la guerra civile contro Franco. Companys fuggì in Francia dopo la disfatta repubblicana, fu tradito da francesi di Vichy e fucilato da Franco. Vedere il video su YouTube degli indipendentisti di Erc, che hanno loro esponenti in galere spagnole anche oggi e gridano in coro «No pasaran!» è stato per me il primo momento iconografico di queste elezioni cruciali.

2. Immagini di speranza che si potevano già presagire a gennaio, guardando la mostra El Siglo Breve al Macba di Barcellona. Arte e politica nel ‘900 a Barcellona, da cui significativamente mancavano 30 anni: si passava dalla Repubblica degli anni Trenta al ‘68, con i grandi lavori di poesia visiva di Brossa. Il resto era il nulla franchista, e nessuna Margherita Sarfatti o architetto da EUR faceva capolino per far recuperare ai posteri alcuna pietra, pur fasciofuturista che fosse. Damnatio memoriae.

3. Già a gennaio, peraltro, i giornali italiani spammavano ovunque il «fenomeno Vox», la destra alla Salvini-Bannon. Propaganda dell’ansia, in mancanza di contenuti e di reportage seri. Giornalisti in grado di non spammare falsità come se piovesse cercansi. Per esempio qualcuno ha detto che a Bilbao i tre partiti di destra, compreso il Partito Popolare, hanno avuto zero deputati eletti?  Nessun trifachito è stato eletto nella terra dei più efferati bombardamenti nazisti e fascisti.  Vox populi o voce del nulla?

4. UnidAs. Podemos è una coalizione elettorale a sinistra che – nel marzo di quest’anno – ha deciso di rendere universale il genere femminile, cambiando denominazione da UnidOs a UnidAs e facendo quindi del performativo la propria bandiera. Non siamo ancora all’universalizzazione del lesbismo queer proposta da Wittig in The Straight Mind, ma senz’altro trasformare l’universale neutro maschile di UnidOs è stato un passo formidabile. Prime e primi nella storia del mondo. Come lo è stato il felice connubio dei militanti con il movimento femminista, le cui istanze si sono fortemente collegate alla lotta antifascista anche sul piano elettorale, e non solo in UnidAs, ma anche nel cuore stesso del partito socialista vincitore.

5. Haz que pase. Lui. Pedro Sánchez il Bello. Il Psoe lo sa e gli ha fatto una grande campagna-immagine. In particolare penso al manifesto in cui lo si ritrae con una grafica che ricorda l’iconografia mussoliniana anni Venti, e con lo slogan «Haz que pase» (fa’ che passi) a riprendere il «No Pasaràn antifa» anni Trenta.  Ed è passato, siamo passate. Lo slogan della grande Dolores Ibarruri, la Pasionaria della resistenza iberica, della quale noto una certa somiglianza con Ada Colau, non ha più un destino infelice. Il manifesto socialista è stato performativo e ha rotto un blocco storico. Ditelo, ai grafici del Pd.