LA DIFFICILE SCALATA DELLE DONNE NEL CALCIO MASCHILE

Stasera, per la prima volta, una partita di Champions League sarà arbitrata da una donna: Stéphanie Frappart. Qualche ora dopo la designazione della francese per Juventus – Dinamo Kiev l’italiana Sara Gama – capitana della Juventus e della Nazionale italiana – è stata eletta vicepresidente dell’Aic (Associazione Italiana Calciatori). Purtroppo queste due decisioni fanno ancora notizia. L’ambiente del calcio (sì, parliamo di quello maschile) è pervaso da una cultura machista che fatica a morire, sia tra chi al suo interno ci lavora a vari livelli, sia tra la tifoseria. Nemmeno gli ennesimi commenti sessisti diretti all’arbitra Frappart dilaganti nei giorni precedenti sui social dovrebbero essere una notizia, mentre sicuramente lo dovrebbe essere l’impreparazione mostrata da giornali e giornalist* nel trattarla, la (non) notizia. E questo a maggior ragione quando una testata come il Corriere della Sera, che si preoccupa di mostrarsi attento alle tematiche di genere con la pubblicazione della 27ora, usa il sostantivo maschile mentre invece nel blog succitato l’ultimo articolo sull’argomento titola Una vita da arbitra.

La vera notizia è che le donne hanno storicamente trovato poco spazio nell’ambito del calcio professionistico maschile (il femminile è, purtroppo, ancora un modo a parte). Perché? Perché gli esempi li contiamo sulla punta delle dita e così ci troviamo invece a raccontare delle prime volte delle donne tra fine anni Novanta e anni Duemila, di quei casi talmente clamorosi da diventare mediatici e delle offese sessiste. La situazione in Italia, in Europa e nel mondo è più o meno la stessa: si contano sulle dita di una mano, appunto, le donne che hanno potuto far risuonare il proprio nome a livello nazionale e internazionale.

Nel mondo arbitrale oltre a Frappart, classe ’83, che grazie alla sua folgorante carriera e alle sue riconosciute capacità è stata la prima donna ad arbitrare la finale di Supercoppa europea tra Liverpool e Chelsea,  ricordiamo Nicole Petignat che nel 2003 abbatté il muro delle competizioni internazionali maschili. Allo stesso modo la ceca Dagmar Damková venne nominata dopo il ritiro dal calcio giocato come componente della Commissione Arbitrale della Uefa, di cui è autorevole membro anche Pierluigi Collina e a livello italiano Carina Vituliano, candidatasi nel 2019 anche come sindaco di Livorno. Da menzionare la celebre guardalinee Cristina Cini, la prima donna italiana a svolgere il ruolo di assistente nel calcio professionistico nazionale e europeo.

Capitolo a parte e forse più roseo, quello della dirigenza sportiva, dove ricordiamo l‘importante esperienza di Rosella Sensi come presidentessa della As Roma dal 2008 al 2011, preceduta nello stesso ruolo e nella stessa squadra solo da Flora Viola, vedova del presidente Dino Viola e in carica solo per tre mesi, sufficienti però a conquistare l’affetto dei tifosi. Dal 2016 al 2020 la presidenza del Robur Siena – ex Siena – è stata nelle mani di Anna Durio, tra scandali e crisi economiche: problemi che nel mondo del calcio sono di casa e prescindono il genere.

Un vero e proprio caso mediatico ha invece interessato l’arbitra e giornalista brasiliana Fernanda Colombo che, dopo aver ricevuto una mail in cui veniva invitata a intraprendere la più redditizia (testuali parole) carriera di escort, ha denunciato più volte i pregiudizi che dilagano nel mondo del calcio e che tra silenzi e ritardi ostacolano la carriera di chi non incarna lo stereotipo maschilista. Pregiudizi e critiche avevano coinvolto già nel 1999 Carolina Morace, fuoriclasse e prima allenatrice donna della Viterbese di Luciano Gaucci.

Non è esente da tutto questo neanche il mondo del giornalismo calcistico, dove spesso le donne, tra la réclame di un’automobile e quella di un dopobarba, vengono lanciate alla ribalta per incrementare l’audience di qualche punto. Erette a specchietto delle allodole di un conquistato progressismo, devono sgomitare per dimostrare la loro professionalità a cui il pubblico maschile appare però spesso completamente disinteressato. La strada del successo delle donne nel calcio maschile a livelli dirigenziali o di responsabilità non è lastricata di buone intenzioni, e che tu sia una tifosa, un’allenatrice, un’arbitra o una dirigente sportiva, tanto per cambiare dovrai faticare il triplo per farti strada in un mondo che gli uomini si tengono stretto.

Forse però da oggi un po’ meno.

Immagine in evidenza da corriere.it, nel testo da repubblica.it