Gender Bender porta una storia al contempo privata e politica sugli schermi del Lumière, in una Cuba dove l’ideologia annichilisce chi non si conforma, perché maricón o semplicemente dotato di pensiero critico.

di Roberto Pisano

Santa si occupa di una fattoria, la sua routine di cura del bestiame viene interrotta dalla richiesta del Consejo di farsi carico di una sorveglianza particolare. Dovrà vigilare per tre giorni la casa di Andrés, autore sgradito al regime e dichiaratamente omosessuale, assicurandosi che questi non possa raggiungere i microfoni della stampa straniera accorsa per il Forum internazionale della pace. Il volto arcigno di Santa incarna la dedizione alla causa, è espressione del rigore del sistema. Con fare sprezzante si presenta a casa dello scrittore, piazzando la sua sedia sotto il sole cocente in mezzo al cortile.

La diffidenza è totale verso quell’uomo di cui non conosce nemmeno il retroterra, eppure si trova di fronte un confinato che conserva umanità e gentilezza, qualcosa che sfugge ai messaggeri invasati della Revoluciòn. Basta poco però perché il muro di distanza si eroda e il contatto con quel che resta dell’universo di Andrés metta in crisi la stabilità quadrata di Santa, il bianco e il nero, l’esigenza di parteggiare. Il disprezzo si evolve in comprensione, fino all’attrazione erotica.

Con il rischio di scomodare precedenti illustri, l’eco di Una giornata particolare non è affatto flebile: siamo in un paese dove il regime è omofobo e i due protagonisti sono un omosessuale esecrato dal potere e una donna etero che non conosce reale emancipazione. Due persone agli estremi opposti – uno eversivo che paga la sua lotta con una sofferenza perpetua, l’altra ciecamente obbediente al Partito – ma entrambe incapaci di concedersi un’esistenza autodeterminata.

È il 1983 ma sembrano gli anni sessanta nelle case dall’intonaco a vista di una Cuba cotta dal sole. Andrés continua a vergare le sue pagine ma lo fa al buio della notte e nascondendo i suoi manoscritti nel gabinetto, s’intrattiene con altri marginali come lui, come il ragazzo muto prestante ma violento che viene a cercare l’amore nella sua baracca, lontano dal paese e dall’occhio inquisitore. È in seguito a uno di questi incontri finito male che le attenzioni di Santa liberano da un lato Andrés dal suo timore, dall’altro la stessa Santa, che scioglie i capelli e si concede un vestito acceso, trovando per la prima volta la sua femminilità, non più fantasma senza desideri.

Così a creparsi è anche l’idea di virilità di Santa, invaghita del capo Jesùs – maschio latino stereotipato e autoritario – che però è sposato e avvezzo a intrattenersi con altre procaci colleghe. E che inevitabilmente dissolve le illusioni della ragazza. Un gioco di specchi che la costringe a ripensare la sua opinione del prigioniero temporaneo e mettere in dubbio la fino ad allora salda fede politica. In un paese dove in fondo le compagne senza macchia vengono relegate a lavori di merda, mentre i mediocri comandano e chi procura dolore circola libero senza alcun disonore.

Nonostante qualche ingenuità registica e la scrittura un po’ acerba (Carlos Lechuga è in realtà sceneggiatore e regista piuttosto rodato e premiato in diversi festival latinoamericani), resta il ritratto delicato di un rapporto emotivo irregolare. Un piccolo romanzo di formazione sentimentale di cui Santa e Andrés stessi non avrebbero mai pensato di diventare protagonisti.

 

 

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