Conversazioni primaverili con Valérie Taccarelli su Valery e Alexander Platz

Del mazzo di fiori che le ho portato, Valérie riconosce subito una calla: «Erano i fiori preferiti di Milva, glieli mandavo sempre dopo i suoi spettacoli» mi dice. Avevo letto di lei come attivista, femminista, protagonista dei movimenti LGBTQ+ bolognesi, tra cui il Collettivo Frocialista e il MIT, nonché madrina del Cassero. Chi l’ha conosciuta descrive Valérie Taccarelli come al di fuori, contro, nel mezzo, oltre. Ad averla di fronte in carne,ossa e capelli riccissimi, in quello sguardo vigile e intenso posso ben vedere gli occhi suoi «di Liz Taylor» di cui  aveva cantato Alfredo Cohen, tra i capisaldi della comunità LGBTQ+ italiana, attore e cantante. Qui c’è da fare un passo indietro: come generazioni e generazioni di frocie prima di me, sono stato toccato nell’animo dal brano Alexander Platz. Quando ho scoperto che la versione consacrata alla fama da Milva trae origine da Valery, scritta da Cohen e proprio a Valérie dedicata, questa emozione sotterranea ha finalmente avuto un senso.

«Ho incontrato Alfredo a Napoli nel ’78. La “piazza colma delle arance” della canzone era Piazza Vittoria. Avevo sedici anni e già sapevo chi era: a differenza di oggi, noi giovani dovevamo andare a cercare nei libri, nelle riviste e negli opuscoli chi fossero i padri e le madri del movimento LGBT+. E le conoscevamo bene: era grazie a loro che avevo potuto dirmi omosessuale e poi transgender» racconta Valérie. «Andai al concerto di Come barchette dentro a un tram a Piedigrotta e lì ci conoscemmo. Decise di prendermi sotto la sua protezione e mi portò a vivere nella sua casa di Roma – anche se lui aveva un altro alloggio poco distante».

Nella musica di Valery composta da Battiato e Giusto Pio si riconosce l’inconfondibile motivetto di Alexander Platz, ma ben più ritmato e sperimentale per il suono dei synth. Il testo di Cohen invece è tutto costruito sulla quotidianità tra lui e Valérie, in una sorta di poesia che si allarga a toccare il tema del tempo e della giovinezza spensierata. «Il rimmel ben riuscito» è dovuto al trucco che Valérie applicava con zelo perché le allungasse la forma dell’occhio, mentre il riferimento a Schubert – che riecheggia nella chiusura iconica di Milva – è un po’ uno scherzo sulle lezioni di piano che lei aveva voluto iniziare nel suo impeto giovanile, pagate da Cohen. Valery si chiude invece citando un playback, una vittoria: «Interpretavo Ornella Vanoni al Bagatto, il primo locale gay di Napoli. Mi pagavano ben 50.000 lire per tre canzoni, tra cui L’appuntamento, imprescindibile, e Domani no, appena uscita», spiega canticchiando.

Ad affascinarmi sono soprattutto gli elementi che hanno resistito alla trasfigurazione del tema; cantiamo ancora «e mi piaceva spolverare, fare i letti» – magari rassettando a nostra volta – perché era proprio Valérie a sbrigare le faccende domestiche: «Ascoltavo la musica a tutto volume mentre facevo i lavori di casa. Sotto, in via della Pace, all’epoca c’era il mercato, e la gente mi urlava “a fanatica!” perché mettevo sempre le stesse canzoni a ripetizione e me ne rendevo conto solo quando arrivava Alfredo a farmelo notare. Prendevo in prestito i suoi dischi: Milly, Mina e soprattutto la Dietrich». E infatti Marlene «aspetta all’angolo» anche in Alexander Platz, così come Valérie, «in disparte come vera principessa prigioniera del suo film» si perdeva nei suoi sogni di adolescente che vagheggia il grande amore.

L’altro personaggio è «la bidella» che in origine «ti fa ripetere una lezione antica», dietro alla quale si cela lo stesso Cohen. «In realtà lui era il maestro», chiarisce Valérie, «e io, giovane e ignorante, pendevo dalle sue labbra quando mi raccontava un po’ di tutto, dalla musica alla storia d’Italia. A Torino, all’inizio degli anni ’70, era stato tra quegli insegnanti rivoluzionari che facevano mettere alunni e alunne in cerchio e apriva loro le menti, molto avanti rispetto alle lezioni frontali tradizionali».

«Sapevo che Alfredo stava componendo un pezzo per me e ne ero felicissima. Me lo fece ascoltare la prima volta da una cassetta poco prima che partisse per inciderla con Battiato e Pio a Milano» racconta, tenendo il suo drink tra le mani impreziosite da due anelli esuberanti. «Dopo che uscì il 45 giri, andavo in giro con il mangiadischi e ascoltavo e cantavo Valery tutta la giornata». Resta un mistero invece il significato del testo rielaborato da Battiato. Valérie ricorda che nell’81 lei fece un viaggio a Berlino, ma ad ovest. Certo, i brani di Battiato sono ricchi di suggestioni sovietiche e forse questo basterebbe a spiegare il pastiche sulla Berlino est. Tuttavia resta una coincidenza non indifferente. Forse ad ispirarlo è stata la suggestione del ciclo delle stagioni («sai che d’inverno si vive bene come di primavera?»), ancor più pregnante nel testo di Cohen: «Ero io a far confusione con le stagioni» ammette Valérie, sorridendo con gli occhi dal trucco elegante. «Ero stata in Alto Adige per la raccolta delle mele e poi, in autunno, per la vendemmia, e quindi per me era sempre estate».

Se il significato del testo di Battiato resta un mistero – né lui, né Cohen, né Milva possono ormai svelarlo – sappiamo invece come avvenne il passaggio di testimone tra Valery e Alexander Platz. Quando Battiato scrisse il primo lp per Milva, pubblicato poi nell’82, chiese a Cohen di avere Valery, che non sarebbe più rimasta tale. «Alfredo venne a trovarmi a Napoli per chiedermi se a me andasse bene. “Ti conviene”? Gli chiesi» e qui Valérie fa il gesto del denaro con le dita. «Lui rispose che gli restavano i diritti d’autore: “pensa, tutte le volte che la canterà in pubblico prenderò 70.000 lire!”. “Allora!” conclusi io. In realtà amavo già Milva come le grandi voci femminili internazionali, tra cui anche Mia Martini. Ricordo che ascoltai per la prima volta la sua versione quando la presentò a Domenica in e Alfredo mi telefonò per avvisarmi che sarebbe andata in onda».«In verità, per un periodo Milva mi è stata antipatica, perché diceva, ignara, che Franco avesse scritto Alexander Platz per lei. Che bisogno aveva di avere anche quella canzone, lei che era già una diva?». Con la sua giacchetta con le spalline e il portamento da madame, anche Valérie è una grande diva. «Comunque andavo ai suoi concerti e ai suoi spettacoli, senza però mai volerla conoscere. Nel ’95 poi, si esibì in un recital indimenticabile di raccolta fondi per l’associazione Ansia, che combatte l’ansia e la depressione – lei ne aveva sofferto, è una malattia infima che io avrei conosciuto solo dopo. Decisi allora di volerla incontrare: al mio accompagnatore, che mi chiese se fossi sicura, risposi che o l’avrei amata follemente o sarebbe uscita per sempre dalla mia vita. Eravamo all’Arena del Sole, ci dicevano “la signora non riceve, la signora non riceve!” ma entrammo comunque dall’ingresso posteriore degli artisti. Il camerino era pieno di gente, altroché! Ma come Milva mi vide – ciack, si gira! – si aprirono le acque tra le persone che si giravano a guardarmi e io avanzai fino a inginocchiarmi ai suoi piedi. “Oddio, che bel tirabacio che hai!” esclamò lei, riferendosi all’acconciatura che abbinavo a uno chignon. Glielo feci toccare a condizione che mi facesse accarezzare i suoi capelli e lei si offrì anche di darmene una ciocca: fu un orgasmo. Mi chiese se facessi spettacolo, risposi di no, ma dissi però di essere quella Valérie della canzone da cui era stata tratta Alexander Platz. Lei rimase confusa, allora la rassicurai: “è facile, le basta chiamare Franco”. Da quel momento ci siamo amate».

Immagine di copertina da wikipedia.org, wikipedia.org e gay.it