L’EVOLUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE DELLE DIFFERENZE NEI VIDEOGIOCHI

All’alba degli anni ‘80, i videogiochi erano per la maggior parte privi di  una vera e propria trama e le informazioni su background e personaggi provenivano dalle guide rilasciate dagli sviluppatori. Con l’avanzare della tecnologia e l’aumento dell’interesse generale, i videogame  hanno iniziato a raccontare storie drammatiche piene di sentimenti e temi sociali più o meno palesi: basti pensare alla forte vena  ambientalista dell’iconico Final Fantasy VII del 1997. 

Inizialmente, i personaggi principali all’interno dei vari titoli erano pensati per la maggioranza del pubblico pagante, cioè maschi bianchi cisgender ed etero, e questo ha contribuito a creare le radici di un ambiente sessista e poco inclusivo, le cui reminiscenze sono visibili ancora oggi. 

Con il passare degli anni si è assistito alla crescita delle diversità nei vari universi narrativi e di gioco. È diventato più comune trovare personaggi di etnie differenti e protagoniste femminili sempre più intraprendenti, a partire dalla famosissima archeologa Lara Croft di Tomb Raider (Core Design, 1996), un titolo rivoluzionario per essere stato il primo videogioco ad avere una protagonista donna pur essendo rivolto a un pubblico prettamente maschile.

Questo è un settore in cui il cambiamento è abbastanza lento, ma costante: se in principio era raro trovare personaggi femminili o LGBT+, negli anni sono usciti alcuni titoli che sono inclusivi nel sistema stesso di gioco: è il caso di Mass Effect (BioWare, 2007), in cui, vestendo i panni di Shepard (il cui genere è personalizzabile all’inizio del gioco), si può  scegliere di intraprendere relazioni sentimentali con personaggi sia maschili che femminili.

Tra gli esempi di inclusività riuscita figura la nuova edizione di Catherine: Full Body (Atlus, 2019): nel gioco originale, il protagonista sceglieva tra la sua relazione storica e una nuova fiamma entrata per caso nella sua vita. Nella nuova edizione  viene presentata invece una terza possibilità di love interest, un personaggio Amab, assigned male at birth, non interessat* a definirsi “maschio” o “femmina”. Il protagonista potrà così decidere di abbandonare i preconcetti su cui aveva basato la sua vita sentimentale e iniziare un nuovo percorso. Un messaggio molto importante in un titolo che, alla prima uscita nel 2011, poteva sembrare sessista ed eteronormativo.

Vi è un progressivo allontanamento dalle vecchie regole secondo cui un videogame con protagonista omosessuale o bisessuale non è vendibile, ed è per questo che diventa un piacere citare l’attesissimo secondo capitolo del colossale The Last of Us (Naughty Dog, 2013), nel cui trailer è rivelata la relazione lesbica della protagonista, Ellie. La svolta LGBT+ della co-protagonista del gioco (eletto titolo del decennio 2010-2020) è senza dubbio un enorme passo avanti nella rappresentazione della comunità e un grande schiaffo a un ambiente poco tollerante come quello del fandom videoludico.

Accanto alle opere dove l’integrazione è ben riuscita,  non possiamo non considerare anche le occasioni sprecate, opere il cui potenziale è rimasto inespresso, come Detroit: Become Human (QuanticDream, 2015), dove l’oppressione è un tema fondamentale. Se la rivoluzione degli androidi contro gli umani tiranni è il simbolo degli oppressi che non sono più disposti a vivere di regole preimpostate, perché non aggiungere una possibilità di amore non etero per uno dei personaggi principali, invece che solo per i personaggi di background? 

È da considerare la fetta di mercato ancora chiusa sul tema: le dichiarazioni sulla sessualità dei personaggi generano spesso polemiche a sfondo omolesbobitransfobico, secondo cui conoscere l’orientamento di un personaggio non aggiunge nulla di importante alla trama. Un argomento in teoria anche comprensibile, ma mai usato per commentare la rivelazione di relazioni eterosessuali.

Oggi la rappresentazione nei videogiochi è sempre più importante, considerata la progressiva espansione di un pubblico ormai molto più diversificato, ma quando il grande pubblico sarà davvero pront* ad accettare la natura di un personaggio di finzione senza battere ciglio? 

Pubblicato sul numero 57 della Falla, luglio/agosto/settembre 2020

Immagine nel testo da everyeye.it