DI COME LA RETORICA DEL FRONTE RISCHIA DI CANCELLARE LA MALATTIA MENTALE E COSA POSSIAMO FARE PER NON LASCIARE INDIETRO NESSUN*


con la collaborazione della dott.ssa Chiara Lora*, psicologa

«C’è gente al fronte che sta morendo, le nevrosi sono da pusillanimi e parassiti». Una frase del genere, se mai è stata pronunciata, potrebbe perfettamente raccogliere in sé non solo una precisa forma di retorica particolarmente diffusa, ma anche e soprattutto un pensiero – abbastanza pericoloso – che nell’ultimo periodo sta prendendo piede tra alcune persone. La retorica è quella bellica di cui molto si è parlato: la pandemia di Covid-19, quel coronavirus che a gennaio ci sembrava così lontano, viene quotidianamente raccontata utilizzando la stessa terminologia che ci aspetteremmo da un* inviat* al fronte. Così ogni pomeriggio, più o meno alle 18, il capo della Protezione Civile Borrelli legge quello che ormai in molte case è stato ribattezzato «bollettino di guerra» e ci viene detto che si dovrà pensare all’economia come a una «economia di guerra». 

Come scritto da Daniele Cassandro su Internazionale: «L’emergenza Covid-19 è quasi ovunque trattata con un linguaggio bellico: si parla di trincea negli ospedali, di fronte del virus (…) Parlare di guerra, d’invasione e di eroismo, con un lessico bellico ancora ottocentesco, ci allontana dall’idea di unità e condivisione di obiettivi che ci permetterà di uscirne». Cassandro ha colto con estrema efficacia il senso del virgolettato che apre questo articolo e che porta al pensiero nato dalla retorica bellica: esiste il fronte, la trincea e «il resto scompare». 

 

Il resto è anche la malattia mentale

La conta dei morti è alta, nessun* lo nega e le immagini dei camion militari che escono da Bergamo per trasportare bare senza nome resterà nella nostra memoria per sempre. Eppure non solo di Covid-19 si muore, o almeno non direttamente. Nelle ultime due settimane sono state almeno cinque le persone che si sono suicidate, apparentemente per motivi correlati alla pandemia in atto: due infermiere e una donna che aveva timore di contagiare i suoi familiari, a Monza, Jesolo e Salerno, e due uomini, un imprenditore trovato positivo in Veneto e un uomo rimasto senza lavoro a Torino. Nel capoluogo piemontese il numero di Tso, Trattamenti sanitari obbligatori, è schizzato alle stelle. 

E il conto, purtroppo, è destinato a salire, complici la pandemia, l’isolamento e la quarantena (che non sono sinonimi) e spesso problemi psicologici e/o psichiatrici pregressi. 

Convivere con una malattia mentale conclamata, in un periodo in cui l’isolamento sociale fa venire meno molte delle nostre reti di sicurezza, può diventare un vero e proprio incubo nell’incubo, indipendentemente dalla gravità o dall’entità della malattia. Molte persone stanno lamentando fatica a concentrarsi, ansia, insonnia, cefalee e irrequietezza, tutte cose che, in alcuni casi, possono e devono essere un campanello d’allarme, soprattutto per quelle persone che già convivono con disturbi d’ansia, dell’umore, di area psicotica o di personalità già diagnosticati.

 

Come vivono per le persone con malattie mentali in questo momento

Per chi soffre di disturbi legati all’ansia il rischio è quello di un acuirsi dei sintomi quali senso di costrizione, tachicardia, senso di oppressione, fiato corto; la solitudine può essere un trigger e quella forzata come è la quarantena può aumentarne gli effetti. 

Un discorso molto simile è valido anche per chi soffre di disturbi dell’umore come depressione o disturbo bipolare, che potrebbero subire cambiamenti dell’umore anche drastici, soprattutto per quei e quelle pazienti con la tendenza a negativizzare se stess* e il mondo che li/le circonda. In queste circostanze, un’informazione castatrofista può aumentare il senso di impotenza e di disfatta, senso nettamente influenzato anche dalla narrazione della morte e della sua presenza costante nella nostra nuova quotidianità. 

Per una persona già clinicamente depressa l’isolamento forzato può corroborare emozioni, convinzioni, pensieri ed emozioni disfunzionali. Sullo stesso piano vanno considerate le persone affette da psicopatologie gravi e sulle quali questa situazione potrebbe innescare comportamenti autolesionisti, violenti o, come sta già avvenendo, suicidiari. 

Nel novero delle persone a rischio si possono includere anche quelle affette da disturbi alimentari: se l’alimentazione è una strategia disfunzionale per affrontare le emozioni, e le situazioni sono avverse, l’aggravamento può essere dietro l’angolo. 

 

Malattie del presente e del futuro

C’è poi un altro grande aspetto che deve essere affrontato adesso e che dovrà essere uno dei punti fermi per il futuro: la sindrome da stress post traumatico che riguarda e riguarderà principalmente – ma non solo, perché la traumaticità di un evento non è un dato assoluto, ma assolutamente soggettivo – il personale della prima linea. 

Per medic*, infermier*, personale sanitario, forze dell’ordine, volontar*, Protezione Civile e anche persone che durante la pandemia hanno subito un lutto, lo sviluppo della sindrome da stress post traumatico (da qui Ptsd) è reale. A questo proposito, vale la pena leggere l’articolo pubblicato dalla rivista scientifica The Lancet sugli effetti della quarantena e su come ridurli del 26 febbraio 2020, basato su 24 contributi tra articoli e ricerche sulle pandemie di Sars, Ebola, H1N1, Sindrome respiratoria del Medioriente ed influenza equina. Sebbene sia di ormai un mese fa, i dati evidenziati possono essere una bussola per quello che potrebbe succedere al personale sanitario e non solo. I dati emersi e aggregati dalle autrici rivelano infatti come, tra i sanitari e i civili, i casi di depressione – anche dopo tre anni dalla fine dell’emergenza e della quarantena – siano stati il 9% del campione, di cui il 60% con depressioni maggiori. Dai dati aggregati è emersa anche una tendenza diffusa ad abusare di alcolici o sostanze. Dal punto di vista della Ptsd, l’articolo di The Lancet delinea anche una serie di comportamenti riscontrati nel personale sanitario, anche a distanza di anni dalla fine dell’emergenza e dell’isolamento, in particolare una persistenza della minimizzazione dei contatti sociali, paura di contatti con persone raffreddate, lavaggio ossessivo delle mani e rifiuto degli assembramenti e dei locali affollati. Nell’articolo si pone l’accento su quali potrebbero essere, anche in questa situazione, i fattori di stress che la quarantena potrebbe scatenare, come la paura del contagio (per sé o per i propri familiari), la noia, la frustrazione, la rottura delle routine giornaliere e personali, l’isolamento sociale e una informazione inadeguata. 

A questi fattori vanno poi aggiunti la paura di rimanere senza scorte – quella che spesso porta a fenomeni di accaparramento e di saccheggio dei supermercati – e la paura per il futuro economico e lavorativo: con l’economia di un paese più che dimezzata, il disagio socio-economico è purtroppo destinato ad avere un impatto fortissimo sulla società, sia durante che dopo. Senza considerare il ruolo che potrebbe giocare il doppio stigma della positività, vera o presunta, al Covid-19 e della malattia mentale: sappiamo che stigma e malattie sono due concetti che troppo spesso continuano ad andare a braccetto. 

Gli stessi governi dovrebbero – e si presume che lo stiano facendo – interloquire con gli esperti per valutare appieno l’impatto psicologico e sociale della quarantena e dell’isolamento.

 

Cosa si può fare per far sì che nessun* rimanga indietro, soprattutto a livello psicologico? 

Quando tutto sarà finito e la tanto agognata normalità sarà tornata, se di normalità si potrà parlare, occorrerà imparare dagli errori del passato e ripartire da là. I centri di salute mentale, già adesso costretti a lavorare in scarsità di risorse economiche e di personale, dovranno essere implementati per far fronte all’emergenza psicologica e psichiatrica che li investirà. Ora, in piena emergenza, sia il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi che i singoli professionisti si sono attivati per poter fornire attività di sostegno ai pazienti in maniera tempestiva e coordinata anche con i Csm, centri di salute mentale. 

In tutta Italia sono partite iniziative per via telematica di sostegno a distanza da parte di psicoterapeut*, psicolog* e psichiatr*. Perché la sbornia da retorica bellica rischia di mettere in sordina un’emergenza reale e attuale e della quale potremmo essere costrett* a pagare un conto salato in futuro. Perché questa quarantena non sarà per tutt* l’occasione della riscoperta del sé o della crescita personale. Perché, se veramente non vogliamo lasciare indietro nessun*, non possiamo più ignorare l’altra ecatombe che la nostra società sta rischiando: quella della salute mentale. Di tutt*, ma di qualcun* un po’ di più.

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* Chiara Lora è disponibile per colloquio gratuito via Skype: chiara.lora3@gmail.com