CARTONI ANIMATI PER L’INFANZIA E RAPPRESENTAZIONI LGBT+

Negli ultimi anni la quantità e la qualità delle rappresentazioni LGBT+ è esponenzialmente aumentata e, sebbene ancora lontana dall’essere sufficiente, diversi media narrativi presentano personaggi con cui possiamo finalmente identificarci. È un processo in evoluzione che purtroppo lascia, rispetto alle altre, tragicamente scoperta la fascia infantile e pre-adolescenziale.

Con ogni probabilità l’ostacolo maggiore, almeno in Italia, sono le associazioni di genitori conservatori o religiosi, molto rumorose  quando si tratta di contrastare i contenuti presenti nei prodotti di animazione, diventati un campo di battaglia per la destra. La retorica del «Salviamo i bambini» influenza anche persone che credono nella moderazione, le quali sostengono che sia troppo presto esporre i bambini a concetti come sessualità e identità di genere. Sfugge, o viene deliberatamente ignorato, che i contenuti possano essere contestualizzati e indirizzati al target di riferimento. Sempre che l’ignoranza non sia piuttosto una visione di questi temi  come intrinsecamente  perversi e depravati.

Nel mondo occidentale le produzioni seriali animate richiedono grossi investimenti e lunghi tempi di lavorazione.  Date le premesse è facile intuire perché i network applichino una severa censura.

Le prime caratterizzazioni di numerosǝ antagonistǝ erano pesantemente influenzate dal  queercoding,  il fenomeno per cui si attribuiscono implicitamente caratteristiche non etero-cis-normate personaggi villain, cattivi, per esempio Him dalle Superchicche (Powerpuff girls).

E per quanto legare la queerness alla malvagità e criminalità possa avere aspetti interessanti, non si può dire lo stesso dell’escluderla totalmente. Disney è stata per anni incapace di prendere una posizione nei suoi prodotti, impedendo di farlo anche a chi li crea. È il caso di Gravity Falls, una serie diventata fenomeno nel periodo di messa in onda. L’autore Alex Hirsch ha lottato a lungo per l’inclusione di personaggi LGBT+, rischiando di essere escluso dal suo stesso show se avesse dato spazio a un bacio fra due donne. Solo nell’ultimo episodio, nel 2016, ha potuto far diventare canon una coppia di personaggi ricorrenti queer.

Rispetto al recente remake per Netflix dell’omonima serie degli anni Ottanta di DreamWorks Animation, Voltron: Legendary Defender, viene annunciato nel 2018 dagli autori Joaquim Dos Santos e Lauren Montgomery che Shiro, uno dei protagonisti, è omosessuale. Si creano aspettative altissime per la sua storyline, che restano deluse alla prima visione: il suo fidanzato viene presentato e ucciso in un flashback, facendo fede al topos narrativo tanto caro agli etero che scrivono personaggi queer. I creatori si sono scusati, ma questo non elimina certo il queerbaiting, sia pure involontario, che ha attirato pubblico LGBT+ con la promessa di una rappresentazione che non c’è stata. I personaggi queer, se presenti, sono quindi morti o malvagi. Questo non è necessariamente sbagliato in sé, ma è problematico perché è l’unica rappresentazione esistente.

Un cartone accusato ingiustamente di queerbaiting è Avatar the legend of Korra, sequel del più popolare Avatar the legend of Aang, entrambi di Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko. Una serie dalla produzione tortuosa e sfortunata che, nonostante l’ostracismo di Nickelodeon, è comunque riuscita a trattare contenuti forti quali politica, religione, disturbo post traumatico da stress, spiritualità. Senza scordare alcuni personaggi femminili  ben scritti.

Le ultime due stagioni peccano di bassa qualità di scrittura, che intacca lo sviluppo della relazione tra la protagonista, Korra, e Asami, sua amica e futura fidanzata. L’impacciata ambiguità narrativa con cui la coppia diventa esplicita sullo schermo, cioè canon, è la motivazione per cui questo show non può essere queerbaiting: non ha mai cercato di attirare pubblico LGBT+ in base a una relazione non realizzata o che non voleva essere esplorata, ma ha cercato di fornire il meglio della rappresentazione possibile nel 2014.

Gli altri esempi di buona riuscita della rappresentazione LGBT+ nei cartoni animati destinati ai bambini sono di anni successivi, e quindi debitori a questa serie imperfetta.

Nel 2018 termina per Cartoon Network il popolarissimo Adventure time, che riesce brillantemente a  costruire nel corso delle stagioni una relazione tra la Principessa Gommarosa e Marceline. Le due donne si scambiano un bacio nell’ultimo episodio per non lasciare alcun dubbio sulla natura del loro legame. Una delle autrici delle prime stagioni, Rebecca Sugar, vide del potenziale nella coppia ed è stata probabilmente lei ad aver  reso possibile uno sviluppo così efficace.

Sugar, autrice anche di Steven Universe, ha creato uno spartiacque per l’inclusione delle soggettività LGBT+. I personaggi e le loro relazioni sono queer e sono centrali all’interno della narrazione. Il cast vario e ben caratterizzato dimostra come il canone di uomo bianco etero e cisgender non sia davvero necessario perché chiunque possa empatizzare con loro. È anche uno dei pochi show a vantare diversi personaggi non binari. «Sono davvero orgogliosa del lavoro che abbiamo fatto ma è anche dolceamaro per me, perché avrei voluto che fosse successo molto prima. Sono molto eccitata per i prodotti che verranno in futuro, ma voglio anche che tuttǝ voi sappiate che lo meritate. Dieci anni fa, venti anni fa, settanta anni fa. Non sarebbe dovuto succedere adesso, sarebbe dovuto succedere tanto tempo fa», risponde Sugar quando le viene chiesto se è consapevole dell’impatto della sua opera. Dalla sua messa in onda nel 2013 fino alla sua fine nel 2019 ha lottato duramente contro la censura del network fino a fare la storia della rappresentazione LGBT+ e dell’animazione. Il matrimonio tra Ruby e Sapphire nel 2018 è stato il primo tra due personaggi dello stesso genere in un cartone per l’infanzia. L’enorme successo di questa serie ha dimostrato come non solo sia possibile mostrare certe cose allǝ bambinǝ, ma che anche è redditizio investirci.

Tra questi ruoli minori spiccano quelli vari dei numerosi personaggi di The dragon Prince e quello dell’amico Benson della protagonista di Kipo e l’era delle avventure straordinarie, particolarmente significativo per la naturalezza del suo coming out quando Kipo gli rivela i sentimenti che prova per lui. Entrambi sono prodotti e distribuiti da Netflix, che nonostante il pessimo esempio di Voltron continua a finanziare opere con tematiche LGBT+ per adultǝ e bambinǝ. È l’inizio di una rivoluzione che ha portato anche al tiepido processo di includere personaggi secondari LGBT+, intrapreso anche da Disney. Marco e Star contro le forze del male (Star vs. the forces of evil) nel 2017 mostra dei baci tra persone dello stesso genere e, nel 2019, anche una coppia formata da due ragazze, Jackie e Chloe, benché la natura della loro relazione venga confermata solo off-screen; nell’ultima stagione di DuckTales un personaggio ha due papà. Qualche anno prima Cartoon Network mostrava in  Clearence le mamme del protagonista, e cominciava a diventare una rete sempre più aperta, come dimostra il cast di OK K.O.! ( serie creata dal marito di Rebecca Sugar), e la coppia di fidanzate che compare in  Craig of the Creek.

Proprio Netflix ha infatti sfornato nel 2018 quello che può essere quasi considerato un erede ideale di Steven Universe, cioè She-ra e le principesse guerriere (She-ra and the princess of power), anche questa remake dell’omonima serie degli anni ‘80, dalla quale prende ampiamente le distanze. I personaggi principali sono per lo più femminili e scritti brillantemente, senza costumi sessualizzanti. Hanno corpi e colori vari, non sono tutti neurotipici o binari, e ci sono molte coppie lesbiche e omosessuali. La punta di diamante è la relazione tra la protagonista Adora e la sua amica-nemica Catra, che si dichiarano il loro amore e si scambiano un bacio alla fine dell’ultima stagione andata in onda quest’anno.

Mostrare apertamente le coppie solo nell’ultimo episodio è un trend diffuso perché coincide con un climax narrativo, ma spesso sembra anche un modo per evitare i troppi problemi che scaturirebbero dalla rappresentazione dell’affettività quotidiana e tra due personaggi dello stesso genere. In molti show è palese anche l’esigenza di ricondurli a una rappresentazione etero-normativa, facendo sì che i personaggi LGBT+ siano accettabili solo se in una relazione o con una famiglia.

Questa operazione lascia ancora del tutto scoperte le esperienze trans*, marginalizzate e esplorate quasi unicamente sotto forma di metafora perché considerate troppo rischiose. Persino nel  mondo progressista di She-ra le autrici non se la sono sentita di confermare o smentire il presunto transgenderismo di uno personaggi, Bow.

Quest’articolo non pretende di essere esaustivo, ma ripercorre alcuni dei più significativi e faticosi passi avanti degli ultimi tempi. Come tutte le ricostruzioni delle dinamiche di inclusione nei media recenti, quella LGBT+ è altrettanto difficile. Non a caso quasi ogni analisi è seguita da un «ma», segno che abbiamo appena iniziato ad essere vistǝ e c’è ancora molta strada da fare. Non siamo il target di riferimento, ma rivendichiamo questa necessità: salvate lǝ bambinǝ. Riappropriamoci anche di queste espressioni, perché esempi positivi in cui i piccoli individui riescano a rispecchiarsi possono davvero salvarli dalla sensazione opprimente di essere sbagliati. Moltǝ di noi ci sono passate e conoscono bene le cicatrici rimaste dalla solitudine e dal credere che nessunǝ possa comprenderci prima che l’accettazione arrivi, sempre che lo faccia, in più tarda età.

Rebecca Sugar sostiene che l’animazione rifletta il nostro forte desiderio di empatizzare e connettersi con il prossimo. Riesce a essere espressiva come nessun altro medium, e ciò la rende un mezzo potentissimo con cui interagire e grazie al quale comprendere ciò che è diverso da noi.

Anche se si deve migliorare, quindi, siamo speranzose nelle generazioni che cresceranno capaci di amare se stesse e le altre persone LGBT+.

Pubblicato sul numero 60 della Falla, dicembre 2020

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