COME LA SCELTA PERSONALE DI BEATRICE VENEZI È STRUMENTO PER LA NARRATIVA PATRIARCALE E COME LA MISOGINIA LE SI RIVERSA CONTRO COMUNQUE 

Beatrice Venezi è una delle professioniste che dirigono l’orchestra del Festival di Sanremo, e ieri, venerdì 6 marzo, sul palco dell’Ariston ha dichiarato di voler essere chiamata «direttore». Rispettiamo la scelta di Venezi come faremmo se avesse preferito direttora/direttrice: deve sempre valere il principio di autodeterminazione. Detto questo, il problema è che nel fare ciò non si limita a una considerazione personale, ma porta avanti una narrazione che difende lo status quo patriarcale per la quale “direttore d’orchestra” è l’unica definizione corretta anche per le donne.

Non è la prima volta che Beatrice Venezi esprime queste posizioni. Non vogliamo che la vicenda mediatica venga montata ulteriormente, ma è problematico che abbia fatto una dichiarazione del genere nella posizione privilegiata in cui si trova sul palco di Sanremo che, ci piaccia o no, è tra i programmi che in Italia hanno maggiore risonanza. È vero e sacrosanto che le sue capacità professionali non devono essere valutate in base al suo genere, ma è allo stesso modo innegabile che la nostra società non è indifferente di fronte ai generi. Non è poi corretto dire che direttore d’orchestra «è il nome specifico per indicare il suo mestiere». I femminili professionali esistono e vanno usati, anche quelli ancora storicamente non attestati (non è questo il caso, ndr), perché la lingua è uno strumento, non è e non deve essere prescrittiva, e comunque in italiano i meccanismi di formazione di questi femminili esistono già in forme agili. 

Ci sono tante donne che in ambito musicale, così come in molti altri ambiti professionali, fanno fatica a emergere perché discriminate in quanto donne: utilizzare il termine “direttrice/direttora” non è solo una questione di forma o di puntiglio, perché usare le declinazioni femminili dei titoli professionali serve anche ad abituarci a normalizzare le donne nelle posizioni di prestigio o di potere. Non a caso, nessunǝ ha nulla da obiettare nell’uso del termine “infermiera”, mentre “medica” allǝ puristə improvvisatə risulta subito cacofonico, scomodo, una «forzatura». Per chi fosse interessatǝ ad approfondire l’argomento, rimandiamo al libro Femminili singolari della prof.ssa Vera Gheno. 

Un’analisi interessante che possiamo trarre dalla baruffa mediatica che si è scatenata– ancora una volta i giornali online strumentalizzano tematiche importanti per fare clickbait – è la ricezione del grande pubblico. Ci sono stati i prevedibili commenti semplificabili in «ahà! Questa è la prova schiacciante che le femministe hanno torto, si dice direttore perché si è sempre fatto così e tutta la loro battaglia è inutile!». Ricordiamo che la preferenza di una singola donna non può imporsi come regola su tutte le altre nelle loro rispettive professioni. Inoltre, numerosǝ attivistǝ hanno evidenziato come le apologie dei retaggi patriarcali sono ancora più insidiose quando a farle sono proprio le donne.

Al contrario, altrǝ hanno commentato che il termine direttrice esiste e che quindi Venezi è nel torto. Anche qui sottolineiamo che non è che le parole esistono o meno, semmai vengono o no utilizzate; e quindi la parola direttrice viene utilizzata anche in altri ambiti e ci suona più familiare, ma questo non è necessariamente un criterio di correttezza. Venezi per loro sbaglia, non conosce l’italiano, ma la sua è, paradossalmente, «l’ennesima trovata del femminismo» che vuole sovvertire le nostre buone tradizioni solo per darsi visibilità. «Cosa non si fa per mettersi in mostra?».

È una visione sessista anche quella che non vuole sia lei a decidere per se stessa. E, più in generale, anche se non siamo d’accordo con le posizioni di Venezi, questo non giustifica la misoginia con cui è stata attacca su più fronti o il paternalismo con cui se ne è discusso. Per non parlare della necessità di alcune testate di specificare che nel suo scambio di battute con Amadeus indossava un grazioso vestito senza spalline: nessunǝ ha voluto commentare che invece il presentatore esibiva una giacca con un motivo azzurro sbarazzino.

Notiamo così che le stesse argomentazioni impiegate per osteggiare l’uso di ministra o avvocata sono qui utilizzate anche quando una donna è apparentemente in linea con il pensiero patriarcale. Una contraddizione che ci suggerisce che, in fondo, non è importante da che parte stai, ma se sei una donna è meglio che stai zitta.

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