Nelle chiese delle Fiandre della fine del Medioevo, e poco dopo anche in gran parte dell’Europa, non sarebbe stato inconsueto trovarsi di fronte a una raffigurazione di una donna, santa, dalla folta barba: si tratta di santa Wilgefortis, la quale da una parte godette nel mondo cristiano di un culto talmente ampio da rivaleggiare in alcune zone con la stessa Vergine Maria e dall’altra, secoli dopo, è stata considerata patrona delle persone transgender e intersex.

Nota anche con i nomi di Liberata, Uncumber o Kümmernis a seconda dei diversi territori, Wilgefortis è protagonista di diverse versioni della stessa leggenda, come diversi sono stati i tentativi di collocarla nel tempo: sebbene la credenza ne parli come di una martire dei primi secoli del Cristianesimo, si concorda generalmente sul fatto che sia da collocarsi a un’epoca successiva, forse l’VIII secolo, ma più probabilmente il XI o XIV.

Tutte le diverse narrazioni concordano tuttavia sulla presenza della barba, l’elemento che più di tutte l’ha resa riconoscibile nel corso dei secoli, e su quale sia la sua origine. Secondo una delle versioni principali, Wilgefortis sarebbe stata figlia di un re pagano di Portogallo, il quale intendeva darla in sposa a un altro re. Wilgefortis si sarebbe opposta strenuamente al matrimonio, ferma nel suo voto di castità e devozione: il giorno prima delle nozze, le sue preghiere sarebbero state ricevute da Dio, che le avrebbe fatto crescere nottetempo una folta e lunga barba. Il pretendente si sarebbe rifiutato di sposarla e il padre l’avrebbe costretta al martirio, crocifiggendola.

La narrazione presenta una serie di tópoi ben riconoscibili nella narrazione cristiana. Lo stesso martirologio romano, ovvero l’elenco di santə venerabilə nel corso dell’anno liturgico, ci tiene a ricordare che Wilgefortis «ha meritato il glorioso trionfo della croce» proprio «in difesa della sua fede cristiana e della sua verginità»: per quanto la storia di Wilgefortis sia quella di un’opposizione alle imposizioni del padre e il modo di essere rappresentata l’abbia consacrata tra lə santə che deviano dalle norme del genere, le intenzioni dellə autorə che ne trasmettono la storia è quella di elogiarne il valore cristiano lasciandola fortemente ancorata a una divisione di genere binaria e a un contesto misogino. La stessa barba, l’elemento che la contraddistingue per la sua ambiguità di genere, può essere interpretata in questi termini: vuole ricordare il valore tradizionalmente maschile associato al coraggio, che viene appunto espresso attraverso una delle caratteristiche più manifestamente riconosciute come maschili.

Al tempo stesso, sono proprio i topoi della tradizione agiografica a rendere WIlgefortis uno degli esempi più noti della non conformità di genere nella santità cristiana: ad esempio, Wilgefortis ricalca il topos diffuso della virgo fortis (espressione da cui forse deriva il suo stesso nome), la vergine forte che si comporta viriliter (virilmente) e che di per sé rappresenta un incrinamento del paradigma di genere entro cui queste narrazioni cercano di essere iscritte. È altrettanto significativo, inoltre, il fatto che la sua immagine venisse spesso confusa con quella dello stesso Cristo (e viceversa), elemento che segnala come entrambi i personaggi abbiano rivestito il genere in maniera divergente rispetto alla norma.

Wilgefortis rappresenta non solo uno degli innumerevoli casi in cui alla santità si associa una dimensione ambigua di genere, ma anche in cui questa ambiguità ha trovato una forma di manifestazione tale da renderla una tra le più note e riconoscibili all’interno e all’esterno del mondo queer.