Premessa: ogni persona trans* e/o enby vi darà una risposta probabilmente diversa sul significato che attribuisce a questa etichetta. Dalla mia prospettiva di persona trans non binaria: sì, le persone non-binary possono essere persone trans.
Parto dal presupposto che nelle definizioni più diffuse di identità trans* possiamo far rientrare qualunque persona percepisca un disallineamento nel binomio sesso/genere, e faccio un passo avanti: rifiuto questa dicotomia. La separazione sesso/genere, che è stata sicuramente uno strumento emancipatorio per le soggettività trans*, è intrisa di una cultura binaria che categorizza capillarmente corpi e identità e riporta strascichi di quei concetti eterocispatriarcali come la questione dei corpi sbagliati.
Sia chiaro, la possibilità di avere accesso alle biotecnologie mediche per modificare i corpi (non necessariamente in maniera antropomorfa, magari, ma questa è un’altra storia) è uno strumento necessario al benessere psicofisico di tante soggettività e, come tale, deve essere garantito senza il gatekeeping da parte di istituzioni mediche, politiche e sociali.
Ma torniamo alla domanda da un milione di dollari: per spiegare – semplificando ma non troppo – l’etichetta trans non-binaria utilizzando la dicotomia appena rigettata, sembrerebbe che “trans” sia associabile al mio sesso e “non-binaria” alla mia identità di genere. Cosa significa, esattamente?
Che riconosco il mio corpo come corpo trans. Il sesso è una valutazione: è frutto di una combinazione complessa di una serie di caratteri sessuali, primari e secondari, ma che ci viene presentata come immediata. Se di valutazione si tratta, va da sé che non è un dato oggettivo.
Piuttosto bisogna parlare del sesso come concetto rizomatico: «Il rizoma è un sistema acentrico, non gerarchico e non significante». Se alla determinazione arbitraria del sesso concorrono una moltitudine di fattori non gerarchicamente ordinati (cromosomi, gonadi, marcatori genetici molecolari, ormoni, funzioni riproduttive, ecc.) il sistema-sesso diviene privo sia di un centro, sia di poli entro i quali oscillare come se fosse uno spettro, perché non è possibile stabilire se a rendere un corpo più maschio o più femmina siano la forma dei genitali piuttosto che i livelli di testosterone.
Nonostante il mio non sia un corpo medicalizzato, nell’abbracciare questa prospettiva non percepisco e non classifico il mio corpo sessuato come corpo assegnato F alla nascita, disconosco la performatività di genere dei miei genitali, e delle mie tette, culturali.
Associare il sesso al rizoma e definire un sesso trans*, che non dipende da una presunta oggettività dei caratteri sessuali, ripulisce l’etichetta trans dalle scorie di un suo immaginato transitare tra due poli. Basterebbe questo.
La mia identità di genere è un’identità non-binaria.
Se non bastasse riconoscere il mio corpo come corpo trans per comprendere il rifiuto verso la separazione sesso/genere e dell’associazione delle identità di genere a corpi standardizzati, mi gioco la carta non-binario.
L’etichetta non-binary spesso viene utilizzata come contenitore di ulteriori specifiche: genderqueer, bigender, genderfluid ecc. In ogni caso, come per tutto, è più corretto parlare di una pluralità di identità non-binarie e non inquadrarla come un concetto monolitico.
Insomma, nelle identità non-binarie rientrano tutte quelle identità che non si riconoscono nella dicotomia uomo-donna. Che poi, in che modo si differenzia da quella maschio-femmina nel momento in cui si cerca di destituire i corpi dal genere e viceversa?
Anche quello dell’identità di genere è un concetto rizomatico. Non un binario, non uno spettro. Il non-binarismo non oscilla tra due poli, li fa esplodere e crea uno spazio senza centri e senza la gerarchia di categorizzazioni cristallizzate che utilizzano il linguaggio eteronormato del padrone.
Ho ricostruito un’etichetta partendo da un binomio che si tenta di decostruire sfumandone i contorni ed evidenziandone le costanti contraddizioni. Dicendo che sono una persona trans* trans* invece che trans non-binaria spero capiate cosa intendo.
Le persone non-binarie possono essere persone trans, le persone binarie possono essere trans, le persone trans possono non essere (non essere più, sic) persone trans.
Le etichette sono di chi se le attribuisce, così come le spiegazioni che ci sono dietro.
Per approfondimento D. CROCETTI, L’invisibile intersex. Storie di corpi medicalizzati, Edizioni ETS, 2013. Ma anche https://www.academia.edu.
Chiaramente, gli esempi più immediati di “valutazione” del sesso riguardano le persone intersex, e per questo rimando, oltre che al link della nota 1, anche alle aberranti linee guida del Comitato Nazionale di bioetica http://bioetica.governo.it.
G. DELEUZE, F. GUATTARI, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia (1980), sez. 1, Castelvecchi 1997, p. 33.
D. CROCETTI, L’invisibile intersex. Storie di corpi medicalizzati, Edizioni ETS, 2013, p. 72. Ma anche questo articolo di Nature https://www.nature.com.
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