«Perché i morti corrono veloci», scriveva Stoker nelle prime pagine di Dracula, frase che oggi suona tristemente vera e, per non essere da meno, in Rai volano anche le veline. Bisogna stare al passo con X, dopo tutto, ed è così che un paio di parole dette sul palco dell’Ariston da un artista «Stop al genocidio» diventano bersaglio prima di svariati post – ambasciatore israeliano in primis – e poi di una corsa frenetica dei vertici Rai che si conclude a Domenica in nelle parole dell’Amministratore delegato Roberto Sergio, riportate da Mara Venier: «La mia solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica è sentita e convinta». Si è parlato di coda di paglia, considerato anche che Ghali, l’artista incriminato, si è limitato a un messaggio di pace più generale, senza attribuzione diretta di quel “genocidio” che ha citato; che si parlasse di ciò che sta accadendo in Palestina era però piuttosto chiaro, tanto vale non giocare a nascondino.

Ne consegue che ci sia da un lato un artista che sceglie di portare un messaggio, dall’altro il governo e l’Ad Rai che decidono di prenderne le distanze. Forse non è adatto parlare in senso stretto di censura, che dovrebbe essere preventiva, ma di atteggiamento censorio sicuramente sì. La guerra oggi è anche guerra delle parole. Basti pensare ai tentativi di Putin di definire l’invasione dell’Ucraina “Operazione militare speciale”, censurando l’uso del più corretto “guerra”. Basti pensare purtroppo anche all’atteggiamento di Roberto Sergio in risposta a Ghali. Atteggiamento che per altro non si è limitato alle parole usate, ma all’occupazione dei Tg Rai che le hanno diffuse senza dare risalto, ad esempio, alle proteste che avevano alle porte a Napoli e a Torino animate proprio da quelle parole di Sergio e che si sono risolte in manganellate da parte della polizia. La parola “genocidio” fa saltare sulla sedia? Non usiamola, nel caso, sarebbe lunga ripercorrere 70 anni di storia per far emergere quanto ci sia di fondato o meno nell’accusa mossa dal Sud Africa contro Israele. Usiamo parole più in linea con i tempi. Di massacro possiamo parlare? Il sospetto è che pur essendo una parola meno tecnica e meno giuridicamente connotata, anche “massacro” produrrà lo stesso effetto. Allora aggiustiamo il tiro: massacro-difensivo. Questo forse è dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Dopotutto le critiche governative a Ghali hanno ruotato attorno al tema dell’unidirezionalità del messaggio che ha deciso di portare: e anche questa è guerra delle parole. Lo sono le testate giornalistiche che hanno titolato che la piccola Hind Rajab è stata «trovata morta», e non “uccisa durante un attacco dell’esercito israeliano”. Lo è anche Mara Venier che ha fermato il discorso di Dargen d’Amico all’Ariston sulle persone migranti dicendo «Ora basta, parliamo di musica». La lista sarebbe lunga per cui sì, limitiamoci a lui, Roberto Sergio, che un biasimo lo merita anche solo per averci ricordato la telefonata dell’allora Ad Masi in diretta a Santoro per dissociarsi preventivamente dalla trasmissione appena iniziata. Anche allora, al governo c’erano molti burattinai, ma i morti correvano meno veloci.

Immagine di copertina da corriere.it, immagine nel testo da true-news.it e da virgilio.it