Paolo Tungsteno de Iorio nasce e vive a Roma dall’86 al ‘08, dove studia ingegneria biomedica sperando di poter costruire gli Evangelion. Poi si trasferisce a Bologna e frequenta l’Accademia, dove tramite persone conosciute facendo serigrafia comincia a militare come unico punk senza tatuaggi in Bologna Punk, attraverso le esperienze di XM24 e B-Side Pride, da cui mutua il valore dell’autoproduzione come forma di attivismo. Il suo progetto attuale Disasstro è una forma di comunicazione opposta alle logiche di consumo degli altri lavori di marketing che ha fatto negli anni, basata sulla risignificazione della parola discriminante e la riappropriazione dei simboli oppressivi.
Ne approfitto per togliermi due curiosità: da dove deriva il nickname Tungsteno e cosa c’è dietro alle locandine che realizzi per il vostro party casserino Esauritə?
Tungsteno (o anche Steno Tung, dipende quante volte mi bannano da Instagram) innanzitutto per la canzone degli Scisma, per la mia fase metallara e poi perché mi ha sempre affascinato come metallo che quando oppone resistenza si illumina. Le locandine di Esauritə invece non nascevano con l’intento di parlare di attualità, ma poi semplicemente vivendo sull’internet le cose vengono servite su un piatto d’argento: comunque, l’idea è quella di rappresentare settimana per settimana personaggi contemporanei che nonostante l’attenzione mediatica non hanno più nulla da dire e sono quindi icone esaurite.
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In redazione volevamo da mesi parlare di bottomshaming, la denigrazione di chi ha un ruolo sessuale ricettivo, ma non sapevamo come. Tu da dove sei partito?
Il concept della figura in castigo, con i piedi che non toccano terra, vuole trasmettere il senso di isolamento che si prova nelle dinamiche discriminatorie della propria stessa comunità, quella stessa bolla che dovrebbe sostenerti dagli attacchi che vengono dall’esterno. Le mani che la toccano e le affibbiano l’appellativo “troia” rappresentano l’oggettificazione sessuale violenta e che ha origine nella misoginia interiorizzata. Misoginia di cui facciamo pure più fatica a liberarci dell’omofobia interiorizzata, a causa dei modelli di mascolinità tossica della stessa comunità gay. E ha a che fare ovviamente con il potere, perché nella penetrazione, che ha sempre centralità nel sesso, la parte attiva è stereotipicamente dominante e quella passiva sottomessa e quindi inferiore, sempre nella metafora misogina del chiavistello che si fa aprire da tante chiavi eccetera eccetera. Rientra tutto nella visione binaria da cui non riusciamo a uscire, di maschi rappresentati come quadratini spigolosi e duri e femmine cerchietti morbidi e accoglienti.
Per composizione e somiglianza fortuita del colore, il tuo poster ricorda quello del numero 0 della Falla di Flavia Biondi. Come si inseriscono in questo discorso le app di incontri?
Le app condensano il peggio di noi perché è il cazzo che digita in quel momento e si finisce in un’esperienza deumanizzante, che quindi esaspera spesso quell’idea binaria di “maschio mette cazzo in culo a femminuccia”. Ma dalla mia decennale esperienza su Grindr non voglio condannare il fast sex, anzi! Sta tutto nella chiarezza e nella condivisione degli intenti e nel cercare di sottrarci a narrazioni stereotipate in cui siamo immerse. E poi vorrei mandare un messaggio a quelli che in bio scrivono “pulitevi bene il culo”: tanto per cominciare voi tagliatevi le unghie dei piedi.
Tempo fa mi scrivesti «so disegnare solo animaletti, twink non binary e culi». Questo cosa dice di te?
Che mi piacciono un sacco i culetti, li guardo sempre; gli animaletti quasi quanto i culi, so tutto di un sacco di loro. Il tema twink non binary è più complesso, probabilmente risale a quando io in adolescenza ancora senza internet, senza lessico non avevo idea di cosa fosse l’identità o l’espressione di genere ma ero fissato col disegnare figure androgine, che non riuscivo a definire in altro modo e che rappresentavano un ideale estetico universale a cui tendere. Poi però sono un tendenzialmente pigro, ho i peli e la barba e non ho voglia di tagliarmeli: dico spesso di essere una principessa shōjo intrappolata nel corpo di un quasi quarantenne.
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