Senhit Zadik Zadik: cantante bolognese di origini eritree, all’attivo una carriera internazionale nel mondo del musical, un Eurovision Song Contest e un melting pot di esperienze musicali di ogni ordine e grado. Abbiamo voluto conoscerla meglio in vista della sua esibizione al Bologna Pride del prossimo 7 luglio.Quanto c’è di Bologna e quanto dell’Eritrea nella tua musica?

I miei genitori si sono trasferiti ormai da quaranta e passa anni a Bologna ma io, mio fratello e mia sorella siamo nati tutti qua. Nella mia musicalità probabilmente c’è un po’ e un po’. Caratterialmente c’è tanto sangue eritreo, tanta passione eritrea, però c’è anche molto l’indole di una persona che è nata e cresciuta a Bologna, che si è fatta condizionare dallo stile italiano e dal mercato melodico italiano. Grinta e passione, tuttavia, mi arrivano da molto, molto lontano. Direi quindi che sono un mix, un bellissimo mix di tutto.

Hai giocato in una squadra di calcio femminile prima di intraprendere la carriera di cantante. È possibile un paragone tra le due esperienze?

Sono sempre stata una persona molto dinamica!

Da piccola abitavo di fronte a un bellissimo parco: c’erano un sacco di maschietti che giocavano e io avevo una cotta per un ragazzo che insegnava calcio ai bambini; da lì è nata questa passione. All’epoca per me tirare calci a un pallone era uno sfogo, un hobby, poi è diventato qualcosa di meno amatoriale, fatto per beneficienza e solidarietà.

Quello per il canto, invece, è un amore arrivato in modo diverso, infatti  in casa si è sempre respirata musica, in un modo o nell’altro. Ho cominciato facendo le imitazioni, cantando alle feste di famiglia, per i parenti, non concependo mai il canto come solo canto: cantavo, ballavo, mi sono sempre esibita, sono sempre stata una pazzerella. Ho cominciato a canticchiare per cazzeggio e dopo è diventata la mia professione, anche se faccio ancora fatica a intenderla come tale perché la vivo come una fortissima passione.

Parlaci della tua esperienza nel mondo del musical.

Andavo tutte le estati in vacanza con i miei genitori e mia mamma lesse sul giornale che c’erano i provini per un musical italiano, con protagonista maschile Massimo Ranieri; mi chiese di provare, così per gioco. La mia esperienza nel musical è cominciata proprio così, quando la settimana dopo andai a fare le audizioni. Tra l’altro, cosa molto buffa, dall’altra parte avevo un padre tremendamente protettivo e geloso, un po’ diffidente rispetto a questo mondo; ed è ancora così! Quindi, per accontentare entrambi, mi sono prima diplomata, ho fatto qualche anno di università e dopo ho cominciato a sperimentare questo mondo. Da lì il delirio, perché il teatro è stato per me fonte di grandissima ispirazione.

Il musical è stato soprattutto una grande gavetta ed è andato avanti fino a quando, qualche anno fa, la Panini – che è l’azienda che mi produce e distribuisce – ha permesso l’avvio del mio percorso da solista. Ma la mia strada è partita proprio da lì: Ranieri, la Disney, molte esperienze all’estero proprio perché volevo ampliare i miei orizzonti anche attraverso lingue diverse. Finché non ho sentito il bisogno di tornare a casa. Il musical mi ha aperto tantissimo, sia dal punto di vista artistico, sia sotto il profilo umano. Perché è lì che hai il contatto diretto con il pubblico, quel pubblico che una sera ti applaude con grandi ovazioni e la sera dopo magari non ti degna della minima attenzione.

Nel 2011 hai partecipato all’Eurovision Song Contest, rappresentando la Repubblica di San Marino: come hai vissuto questa competizione? Cosa ti sei portata a casa?

Non ti nego che, quando mi proposero l’Eurovision, in rappresentanza di San Marino perché l’Italia non partecipava da tantissimo tempo – poi ovviamente la sfiga ha voluto che ricominciasse a gareggiare l’anno dopo la mia partecipazione –, l’avevo molto sottovalutato, perché c’era quella nomea di un contest molto trash e un po’ kitsch. Questo è sempre stato un preconcetto italiano perché devo ammettere che è stata l’esperienza internazionale più bella della mia vita: se me lo chiedessero domani, la rifarei immediatamente. Tra l’altro mi ero presentata con una bellissima canzone quindi sono stata ben recensita: ho ancora gente che, dopo tanti anni, mi segue dal Perù o dalla Colombia. Poi, ovviamente, mi son mangiata le mani quando l’anno dopo ha partecipato l’Italia ma non mi pongo limiti: magari ricapiterà e magari potrò concorrere per il nostro Paese, chissà…

Quali progetti hai in serbo per il futuro?

Sto lavorando a un progetto italiano, dopo tantissime esperienze in inglese e a livello internazionale. Come ti dicevo, ho la fortuna di essere prodotta e distribuita da un’azienda che ha i mezzi, le possibilità e ancora l’entusiasmo per produrmi. Fino a ora ci siamo mossi sempre sul mercato estero, per una molteplicità di fattori: la mia conoscenza dell’inglese, questo physique du rôle un po’ internazionale, la voglia di uscire. Ma io ho voluto tornare a casa e nonostante le difficoltà – perché sai benissimo che ci sono i talent e che in Italia funzionano solo determinate cose – ho chiesto al team di lavorare su un progetto discografico italiano. Ho voglia di cantare in italiano, ho il desiderio di cantare a casa, di far sentire la mia voce anche nella mia lingua madre. Quindi ora c’è tutto il periodo di pre-produzione: ricerca brani, incontri con autori, compositori, musicisti, prove, ascolti, etc…

In cosa deve credere chi vuol vivere di musica al di fuori dei canali più conosciuti, come ad esempio i talent da te appena citati?

Secondo me bisogna sempre e comunque studiare: sempre essere super preparati e aggiornati. Esercitarsi attraverso i concerti, i classici concerti da garage. E non perdere mai la speranza: è un momento storico difficilissimo dove tutto è molto veloce. Nel mio campo, per esempio, nell’era di youtube, tu fai un brano, lo lanci on line, lo produci e poi cerchi di battere sulla visibilità. Sicuramente questa cosa aiuta, ma bisogna far conoscere la propria voce anche a chi non è dietro a uno schermo. Grande costanza, quindi, in ogni occasione, sia nei concerti in cui c’è tantissima gente, sia in quelli in cui ce n’è pochissima. Tutto serve.

Quale messaggio porterai sul palco del Bologna Pride?

Sicuramente io sono molto legata al Pride, ho cantato in questa occasione a Bologna anche qualche anno fa e lo ricordo come un momento favoloso. Quindi, quando mi è arrivato l’invito per cantare con Gli Sdruciti, amici da sempre, io sono stata stra-felice di dire di sì e di poter partecipare. Per più ragioni. Una delle quali è che, visto il periodo storico-politico, è importante metterci la faccia.

L’amore in qualunque forma, con chiunque tu voglia farlo e con la quantità di chissenefrega connessi, deve vincere sempre e comunque, senza nessun tipo di barriera. Questo è un grandissimo messaggio da poter veicolare attraverso la musica e io sento proprio il desiderio di volerlo fare. Mi auguro davvero che partecipi molta gente perché è un’occasione imperdibile per far sentire con forza la nostra voce.